SPECIALE #CANNES75 – 17/28 maggio 2022 #12 (DAY 6):Le incursioni critiche di Marina Pavido sulla Croisette

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(da Cannes Luigi Noera e Marina Pavido – Le foto sono pubblicate per gentile concessione del Festival di Cannes)

Valeria Bruni Tedeschi applauditissima accede alla selezione principale parlando di se stessa e dei primi passi sul set, mentre nella selezione Un Certain Regard storie intime diverse per genere e stile

les-amandiers-bruni-tedeschi-cannesSogni e drammi di giovani attori agli inizi degli anni Ottanta – Les Amandiers di Valeria Bruni Tedeschi

Secondo lungometraggio da regista dell’attrice Valeria Bruni Tedeschi, Les Amandiers – presentato in anteprima mondiale, in concorso, alla 75° edizione del Festival di Cannes – si è rivelato una piacevole sorpresa all’interno della celebre manifestazione cinematografica.

Estremamente intimo e personale, il film mette in scena le vicende di Stella (una straordinaria Nadia Tereszkiewicz), una ragazza di vent’anni, che, all’inizio degli anni Ottanta, insieme a molti suoi altri coetanei, entra a far parte di un’esclusiva scuola di teatro a Parigi, con la finalità di fare dapprima uno stage a New York, poi, una volta di nuovo in Francia, di iniziare a esibirsi nei primi spettacoli teatrali messi in scena da alcuni insegnanti della scuola stessa.

L’ansia per i provini, i primi amori, i primi, importanti drammi personali e, non per ultimo, il problema dell’AIDS, che in quegli anni si diffondeva molto facilmente tra i giovani, vengono messi in scena da Valeria Bruni Tedeschi in un film fresco, sognatore ma realista allo stesso tempo. Un film in cui gli anni Ottanta, con tutti gli importanti cambiamenti socio-culturali che portavano con sé, fanno da contesto perfetto per non una, ma tante storie che si intrecciano, che si influenzano a vicenda. Storie di crescita personale e di primi – spesso anche dolorosi – confronti con il mondo degli “adulti”. Ritratti di anni cruciali che cambieranno per sempre le vite dei protagonisti.

Sincero e appassionato, Les Amandiers vede al proprio interno una serie di personaggi (alcuni dei quali, in particolar modo per quanto riguarda Adèle, la migliore amica di Stella, avrebbero necessitato di un maggior approfondimento, data la loro verve), ognuno con i propri sogni e problemi, ognuno con una ben marcata personalità.

Les Amandiers ovviamente vede al proprio interno momenti fortemente drammatici e, allo stesso modo, tratta questioni anche piuttosto spinose (oltre all’AIDS, viene fatto anche un’importante discorso sul consumo di droghe e su come le stesse contribuiscano ad amplificare le insicurezze e quel senso di spaesamento provato da chi è più vulnerabile), senza mai risultare ridondante o didascalico, ma regalandoci un variopinto e variegato affresco degli anni Ottanta visti dalla prospettiva di chi per la prima volta si trovava a fare i conti col “mondo esterno”, oltre a personaggi indimenticabili, incredibilmente vivi e pulsanti. Una piacevole sorpresa all’interno del concorso di questo Festival di Cannes 2022.

retour-a-seoul-chou-cannesAlla ricerca delle proprie origini – Retour à Séoul di  Davy Chou 

I legami famigliari e la ricerca di sé stessi e delle proprie origini sono un tema portante all’interno della selezione di questa 75° edizione del Festival di Cannes. A tal proposito, Retour à Séoul, secondo lungometraggio del regista Davy Chou – presentato all’interno della sezione Un certain Regard – si concentra sulla storia della giovane Freddie, cresciuta in Francia insieme ai suoi genitori adottivi, la quale, dopo venticinque anni, decide di tornare nella sua città natale. Qui avrà modo di contattare, tramite l’istituto che si è occupato della sua adozione, i suoi genitori biologici. Mentre suo padre si dimostrerà entusiasta di conoscerla, sua madre sembrerebbe non intenzionata a incontrarla.

Retour à Séoul è, dunque, un doloroso, ma anche tenero e commovente viaggio tra passato e presente. Ciò che Freddie deciderà di diventare, dipende molto da questo periodo per lei cruciale. Oriente e Occidente si incontrano e danno vita a qualcosa di unico. Il regista Davy Chou, dal canto suo, ha saputo cogliere con la sua macchina da presa ogni sfumatura, ogni singola emozione, tutti i colori di questo nuovo mondo.

Locali di notte, strade della città illuminate da variopinte insegne, ma anche pranzi in compagnia lontano dal caos cittadino, insieme a vecchie fotografie rendono il presente lungometraggio incredibilmente vivo e pulsante. La giovane protagonista (impersonata da Ji-Min Park) è un personaggio straordinariamente umano, magnetico, una donna volitiva, ma fragile allo stesso tempo, spaventata da un passato che non conosce, ma estremamente desiderosa di scoprire di più sulla sua stessa vita. Gli intensi primi piani sul suo volto, ora mentre legge email inaspettate o a lungo aspettate, ora mentre digita sul cellulare messaggi in uno stentato coreano stanno a creare una figura a tutto tondo, perfettamente in grado di reggere sulle sue spalle l’intero lungometraggio. Il talento del giovane Davy Chou ha fatto il resto. Una piacevole sorpresa all’interno della ricca e variegata sezione Un certain Regard.

syk-pyke-borgli-cannesSuccesso e voyeurismo – Syk Pyke di Kristoff Borgli

Il desiderio di visibilità e di successo. Ciò che abbiamo da offrire e che gli altri si aspettano da noi. E ancora, il malato voyeurismo e la particolare attenzione verso i drammi umani. Syk Pyke, graffiante commedia nera diretta dal regista norvegese Kristoff Borgli e presentata in anteprima mondiale in occasione della 75° edizione del Festival di Cannes, all’interno della sezione Un certain Regard, mette in scena tutto ciò senza paura di osare, di scioccare lo spettatore, attraverso una storia al limite del paradossale che nel presente in cui viviamo trova – tristemente – parecchi appigli.

Signe e Thomas sono giovani, belli, invidiati da tutti. La loro relazione, tuttavia, ha qualcosa di malato e tutti i problemi latenti vengono fuori nel momento in cui Thomas – artista contemporaneo – inizia ad avere successo, viene invitato a numerosi eventi e organizza mostre personali. Signe, la sua ragazza, è invidiosa di lui e fa di tutto per catalizzare l’attenzione di tutti su sé stessa, fino ad arrivare al punto di assumere delle droghe che causano una grave malattia della pelle, in modo da far pietà ai suoi follower e di tentare la strada del successo attraverso questa sua nuova condizione.

Syk Pyke, dunque, è un film spietato, irriverente, che – in pieno stile della cinematografia scandinava – vede in un crudo umorismo la giusta soluzione per aprire un ben più ampio discorso sul mondo in cui viviamo, sul desiderio malato della gente di osservare i drammi umani con spirito voyeuristico, più che per reale compassione, sul potere dei social media e dei giornali, in grado di trasformare in evento sensazionale situazioni del tutto normali.

Signe resta irrimediabilmente sfigurata. Eppure questo suo “nuovo volto” viene immediatamente notato da agenzie di moda, in seguito alla fitta pubblicità fatta su sé stessa su ogni qualsivoglia canale social. Dove porterà, però, tutto ciò? In Syk Pyke nessuno è realmente innocente. Nemmeno Thomas, che, per forza di cose, è costretto ad accudire la sua ragazza, pur rivelandosi particolarmente compiaciuto nel momento in cui una sconosciuta sull’autobus lo guarda intenerita e ammirata mentre egli si prende cura di Signe.

Kristoffer Borgli è riuscito a catturare ogni sfumatura dei suoi protagonisti in modo intelligente e spiazzante, dando vita a una commedia tristemente attuale, ma anche esilarante e graffiante, in cui sembra, purtroppo, non esserci speranza di salvezza alcuna.

Marina Pavido

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