#BERLINALE 74ma ed. 15/25 febbraio 2024 SPECIALE #3 (DAY 2)

Lo sguardo critico di Maria Vittoria dallo Zoo Palast

(da Berlino Luigi Noera con la gentile collaborazione di Maria Vittoria Battaglia e Vittorio De Agrò della Redazione RdC– Le foto sono pubblicate per gentile concessione della #BERLINALE)

#EveryYouEveryMe di Michael Fetter Nathansky è stato presentato nella sezione #Panorama è la storia di una relazione molto poco sana, retta non già sull’amore ma sulla dipendenza

Alle die Du bist (Every You Every Me) di Michael Fetter Nathansky | con Aenne Schwarz, Carlo Ljubek, Youness Aabbaz, Sara Fazilat, Naila Schuberth – Germania / Spagna 2024 | WP

Do you know the feeling when you look at a strange man and find it bizarre how he talks and what he says and after a while you realize that it’s your own husband?

La domanda rappresenta il leit motiv del film, che racconta di Nadine e del suo amore nei confronti del marito Paul. Amore è un parola che stona però, perché Nadine non ama più Paul e non riesce più a riconoscerlo. Il racconto di questo non-amore si inserisce nella storia della quotidianità della coppia, lei lavoratrice in fabbrica alle prese con le lotte sindacali per evitare licenziamenti e tagli, lui disoccupato alle prese con attacchi di panico. Due figlie, un passato turbolento, depressione post-partum.  In questa quotidianità i due personaggi interagiscono e a ogni interazione Nadine vede Paul in un modo diverso, come un bambino capriccioso, un uomo adulto, un ragazzo poco più che ventenne, un toro, una figura materna. Lo spettatore si perde dietro a queste innumerevoli forme, proprio come la protagonista non riesce a capire chi sia Paul. L’espediente narrativo è in questo caso efficace, ma  il film si perde dietro a troppi sofismi.

Il continuo slittamento tra i piani temporali, unito al continuo cambiamento delle forme di Paul, rischia di far perdere il filo del racconto troppe volte. L’amore, i dubbi, i sentimenti, non riescono mai a emergere; Nadine non sembra combattere per ritrovare l’amore di Paul, sembra solo una persona che per motivi e per una storia che non possiamo del tutto conoscere non riesce a provare affetto per nessuno. Anche Adja, la sua migliore amica, la vediamo sempre solo nelle vesti di collega, in un rapporto tanto anaffettivo come quello che la lega alla famiglia. Nadine infatti fa bei regali a Paul, gioca con le figlie, ma sono momenti brevi subito annullati sotto sguardi mancati, sorrisi interrotti, grida fredde e rancorose.

Gli unici momenti in cui si ammorbidisce la durezza di Nadine è quando Paul diventa figura materna, e Nadine spogliandosi dalle responsabilità di dover amare il marito o le figlie e di dover supportare i colleghi sembra allora ritrovare un po’ di quiete.

D’altro canto anche Paul sembra essere piuttosto irrisolto: dilaniato dall’ansia arriva ad avere attacchi di panico e di aggressività rivolta verso se stesso o verso gli altri di continuo, sembra essere stanco di lottare per l’amore della moglie, sembra essersi arreso all’idea di averla persa. Però i due, che non riescono a starsi vicini senza ferire qualcuno, non riescono neanche a fare a meno l’uno dell’altro, e alla fine quello che resta nella confusione narrativa del film è la storia di una relazione molto poco sana, retta non già sull’amore ma sulla dipendenza.

Maria Vittoria Battaglia

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