#BERLINALE73 – 16/26 febbraio 2023 SPECIALE #4 (DAY 2)

(da Berlino Luigi Noera e Marina Pavido – Le foto sono pubblicate per gentile concessione della BERLINALE)

Superpower doc diretto dall’attore Sean Penn insieme al regista Aaron Kaufman  – La recensione di Marina Pavido

Presentato in anteprima mondiale – all’interno della sezione Berlinale Special Gala – alla 73° edizione del Festival di Berlino, Superpower è l’ultimo documentario diretto dall’attore Sean Penn insieme al regista Aaron Kaufman e incentrato sul drammatico conflitto tra Russia e Ucraina.

La genesi di Superpower, dunque, è decisamente particolare, in quanto i due registi avevano iniziato le riprese già nel 2021, quasi un anno prima che Vladimir Putin invadesse l’Ucraina. Quel drammatico 24 febbraio 2022, dunque, la troupe si trovava già a Kiev. Che fare, dunque? Semplice: portare avanti il progetto e vedere man mano quali forme lo stesso possa assumere. E normalmente un approccio del genere, di fatto, potrebbe anche portare a soluzioni piuttosto interessanti. Durante la visione di Superpower, tuttavia, non tutto ci convince. Ma andiamo per gradi.

Immagini di città bombardate, interviste agli abitanti del posto, corpi di bambini feriti e sparatorie fanno parte del copioso materiale d’archivio di cui i due registi si sono serviti per fornire al pubblico un quadro completo della situazione e per trasmettere appieno la drammaticità della guerra. E la cosa, di fatto, funziona e – come è naturale che sia – ha sullo spettatore l’effetto di un pugno allo stomaco. Al contempo, però, Superpower porta avanti un’altra strada. E questa riguarda non soltanto il presidente Volodymyr Zelensky, la sua politica e il suo operato, ma anche gli incontri (spesso addirittura via Zoom) tra quest’ultimo e Sean Penn stesso. E qui casca l’asino.

Come (fortunatamente non troppo) spesso accade quando un attore si trova dietro la macchina da presa, il rischio di risultare autocelebrativi è particolarmente alto. E, purtroppo, il presente Superpower non è rimasto “immune” a ciò. Sean Penn, dal canto suo, ci appare addirittura eccessivamente impacciato e decisamente innaturale, soprattutto nel momento in cui deve rivolgersi in prima persona a Zelensky. Al contrario, l’attore ci sembra molto più a proprio agio quando si trova di fronte a “comuni cittadini”, ognuno dei quali si confida davanti alla telecamera e ci racconta come vive personalmente il conflitto.

Siamo d’accordo: durante la visione di Superpower di certo restiamo turbati. Ma questo accade, d’altronde, anche ogni qualvolta ci accingiamo a seguire un telegiornale. E a questo punto viene da porsi una domanda tanto cinica quanto sensata: qual è la vera utilità di questo documentario di Sean Penn? Cosa ci dà di “nuovo” rispetto a ciò che già conosciamo? Quale “contributo” fornisce, tale opera, alla settima arte, da un punto di vista prettamente qualitativo e/o artistico? Le risposte, sono tristemente scontate. E, alla fine dei giochi, viene da chiedersi quale sia la reale utilità di un’opera come la presente. Un’opera che, proprio per la forte autoreferenzialità di cui è pregna, lascia il pubblico ancora di più con l’amaro in bocca.

Marina Pavido

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