SPECIALE 70ma #BERLINALE #5 – 20.02/01.03/2020 – (DAY 3): FIRST COW narrazione inconsueta del Far West

(da Berlino Luigi Noera con la gentile collaborazione di Marina Pavido – Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Berlinale)

First Cow è una pellicola di Kelly Reichardt tratta da un racconto di Jonathan Raymond dove il FAR WEST viene trattato con uno stile inconsueto.

Oregon, inizi del diciannovesimo secolo. Sono in molti i colonizzatori che tentano di conoscere meglio questa terra selvaggia. Tra di loro, un uomo soprannominato Cookie, emarginato da tutti e con una grande passione per la cucina, fa amicizia con King-Lu, un giovane proveniente dalla Cina, ricercato per aver ucciso alcuni banditi che, a loro volta, avevano tolto la vita al suo migliore amico. Non è facile, nelle loro condizioni, riuscire a trovare un modo per sopravvivere dignitosamente. Eppure, un giorno, le cose cambiano: un nobile del posto porta per la prima volta nel villaggio una mucca, ottima fonte di reddito e sostentamento. Ed ecco che, improvvisamente, a Cookie e al suo amico viene un’idea geniale: andare ogni notte a mungere di nascosto la vacca, al fine di ottenere del latte e realizzare dei dolci che faranno impazzire gli abitanti del posto.

Orion Lee (left) “King-Lu” e John Magaro (right) “Cookie”

Sono il particolare formato in 4:3, una regia essenziale e priva di fronzoli, insieme a un commento musicale ridotto all’osso, a trasportarci in questo mondo a cavallo tra due epoche. Un mondo in cui, di fianco a colonizzatori senza scrupoli (ed è proprio questo al centro delle critiche nel presente First Cow) la solidarietà e l’amicizia sembrano soltanto delle leggende.

Oltre a un gustoso umorismo e a situazioni al limite del paradossale, dunque, vediamo, in questo interessante First Cow, sottili giochi di sguardi che sottintendono parole mai pronunciate, lunghi, lunghissimi silenzi, attese cariche di tensione e momenti fortemente liberatori. Non ha paura, Kelly Reichardt, a prendersi i suoi tempi. Così come non ha paura a dire la sua e a fare, con questo suo interessante lavoro, una sorta di “mea culpa”. La storia dei due bizzarri “ladri” diviene, dunque, la storia di molti altri uomini, ognuno dei quali è stato costretto a trovare degli espedienti per poter andare avanti. Tutto, pur di riuscire a trovare una via di fuga dalla propria condizione. Proprio come lo stesso King-Lu ha affermato durante una conversazione con il suo amico Cookie.

Ma, alla fine dei giochi, cosa resterà di tutto ciò? Con fare quasi eracliteo, è proprio la regista a suggerircelo: malgrado tutti gli affanni, le corse, le sparatorie, la rivalsa su altri esseri umani e l’abnegazione per il Dio Denaro, arriverà il tempo in cui tutti saremo uguali l’uno all’altro. Proprio come due scheletri trovati per caso sotto terra, dopo molti, moltissimi anni di oblio.

Marina Pavido

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