SPECIALE 70ma #BERLINALE #7- 20.02/01.03/2020 – (DAY 4): UNDINE di Christian Petzold, il ritorno del regista alla Berlinale

(da Berlino Luigi Noera con la gentile collaborazione di Marina Pavido – Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Berlinale)

Undine del celebre cineasta tedesco Christian Petzold, tornato in concorso a Berlino appena due anni dopo aver presentato l’altro ottimo lavoro TRANSIT uscito in Italia con il titolo La Donna dello Scrittore .

Undine, dunque, è una giovane donna che lavora come guida presso un museo di Berlino. Un giorno, improvvisamente, viene lasciata dal proprio ragazzo e, minacciando, inizialmente, di ucciderlo, abbandona ben presto i suoi propositi, incontrando immediatamente Christoph, con il quale inizia una relazione. La speciale connessione tra i due, assumerà ben presto toni fortemente spirituali e surreali.

Ed è proprio l’elemento surreale la vera peculiarità di un lavoro come Undine. Sono, di fatto, corpi che fluttuano in acqua, acquari che si rompono improvvisamente inondando i protagonisti, mani che si sfiorano sott’acqua e figure che non si sa bene se appartengano al mondo dei vivi o a quello dei morti i punti forti di questo ultimo lungometraggio di Christian Petzold. Eppure, le cose non sempre vanno come dovrebbero. Dalla seconda metà del lavoro, infatti, tutto si fa immediatamente più razionale, tutto sembra perdere improvvisamente di mordente e di personalità, conformandosi alle messe in scena più standard. Siamo d’accordo, non c’è assolutamente nulla di male a mettere in scena un rapporto amoroso in modo complessivamente classico e lineare. Il problema del presente Undine, però, è proprio questo suo essere fortemente sbilanciato, dove, di fronte a tentativi di conferire al tutto un determinato piglio, assistiamo spesso a improvvisi cambi di rotta. Eppure, come già detto, la sostanza c’è, così come le numerose potenzialità. Basti pensare, ad esempio, allo stesso elemento dell’acqua, simbolo (seppur più e più volte usato) di vita, di morte, di rinascita, di incontro tra le anime. Così come anche allo stesso rapporto – o, sarebbe meglio dire, alla speciale connessione – tra Undine e Christoph. Una connessione, la loro, che va oltre la vita e la morte, perfettamente in grado di superare barriere di ogni tipo. E che vede un riuscito compimento proprio nel finale, momento in cui il regista sembra finalmente tornare sui suoi passi, appena in tempo per regalarci immagini forti, estremamente poetiche, insieme a un gratificante senso di compiutezza.

Marina Pavido

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