Pinocchio come lo vede Matteo Garrone: la recensione di Marina Pavido

Nelle sale italiane dal 19 dicembre, Pinocchio è l’ultimo, atteso lungometraggio di Matteo Garrone. Impresa tutt’altro che facile, la presente. Soprattutto perché deve innanzitutto fare i conti con quanto è stato prodotto in passato (oltre che con il libro stesso di Carlo Collodi). E se, fino a oggi, il celebre Le Avventure di Pinocchio di Luigi Comencini (1972) ne risulta tra le migliori trasposizioni cinematografiche, ecco che lo stesso Garrone si è ispirato proprio a esso nel realizzare questo suo ultimo lavoro.

La storia è quella che conosciamo tutti: il falegname Geppetto (qui impersonato da Roberto Benigni) crea da un pezzo di legno un burattino. Tale burattino prende ben presto vita. Geppetto dà lui il nome di Pinocchio e decide di allevarlo come un figlio. Il burattino, tuttavia, essendo piuttosto indisciplinato, si caccerà in una serie di disavventure che lo allontaneranno sempre più da casa e da suo padre.

Per quanto riguarda questo ultimo lungometraggio di Garrone, ciò che salta immediatamente agli occhi è l’ottima realizzazione grafica, con tanto di personaggi attentamente scelti e truccati e una più che convincente ricostruzione degli ambienti. Attenendosi in tutto e per tutto al romanzo originale di Collodi, Garrone riprende, talvolta, anche le battute originali, così come scritte nel libro, tentando di essere il più possibile fedele a quanto originariamente realizzato.

Eppure, tale operazione, non è riuscita del tutto. Soprattutto perché questo riportare pedissequamente gli eventi ha fatto sì che l’intero lungometraggio mancasse quasi di anima, risultasse complessivamente piatto e privo di mordente. A poco, dunque, servono i raffinati trucchi e i ben riusciti effetti speciali. A poco servono personaggi con un notevole spessore (primo fra tutti, Geppetto, insieme al grillo parlante e al maestro di scuola di Pinocchio). Tutta questa serie di elementi, inserita in una cornice realizzata quasi con il pilota automatico, non è sufficiente a salvare un intero lavoro. Un lavoro che, in ogni caso, presenta un Roberto Benigni più che convincente. Soprattutto se pensiamo a quando lo abbiamo visto, anni fa, proprio nelle vesti del vivace burattino.

Marina Pavido

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