Ci si domanda anche oggi se #Banksy è un convinto assertore delle ingiustizie del sistema o piuttosto le cavalca sfruttando un onda emotiva
Il documentario Banksy e la ragazza del Bataclan, diretto da Edoardo Anselmi, abbraccia inizialmente uno stile Netflix esplicativo per illustrare il contesto della street art, e assume poi dei toni thriller seguendo il furgone bianco che ha rapito “La ragazza triste” di Banksy.
Gli artisti del furto hanno sempre goduto di un certo fascino sullo schermo (David Niven ne La pantera rosa, Cary Grant in Caccia al ladro, Arsenio Lupin, etc.) ma la ruberia in questione è una violenza talmente meschina da non concedere alcuno charme. “La ragazza triste” è l’omaggio che Banksy ha disegnato sulla porta dell’uscita d’emergenza del Bataclan. Da quella porta sono scappati i ragazzi e le ragazze che si sono salvati il 13 novembre 2015, la sera dell’attentato. Nel 2018, Banksy dà voce al dolore collettivo che ha segnato quel luogo, quello spazio, disegnando con lo spray bianco l’immagine di una ragazza triste. C’è chi l’ha definita una Madonna; quest’icona diviene subito simbolo di un lutto condiviso che abbraccia tutta Parigi.
Nel 2019 tre figure incappucciate staccano la porta, svanendo la notte su un furgone bianco; un vero e proprio shock per la città e per tutta la Francia. Un furto incredibilmente simbolico, che tradisce l’umanità di quell’opera.
Sentir parlare il ladro e la sua compagna, così come il collezionista che avrebbe dovuto acquistare la porta ci permette di comprendere un gesto altrimenti incomprensibile. La violenza del furto è pari all’ingenuità dei ladri. Dalle periferie francesi, con passati turbolenti alle spalle, il loro dolore personale gli impedisce di abbracciare il lutto di una nazione e di saper valutare propriamente l’esito delle loro azioni. Recuperata dalla polizia italiana e francese in Abruzzo, la porta è tutt’oggi oggetto di una controversia legale e non è ancora tornata al Bataclan.
Ne esce un ritratto dell’artista, ancora protetto dall’anonimato, che sottolinea i paradossi della sua arte, così come della sua figura. Banksy non ha tanto il merito della tecnica; il suo metodo si basa sull’essere al posto giusto, nel momento giusto. Il muro della discordia in Palestina, i murales di Gaza, le macerie in Ucraina: sono questi i suoi palcoscenici, quando i riflettori del mondo sono puntati su questi conflitti. La domanda che il documentario giustamente porta avanti, attraverso la voce del critico Nicolas
Laugero Lassèrre, è quanto Banksy lotti contro il sistema che denuncia o quanto invece lo sfrutti a suo vantaggio.
La diffusione del documentario, in rete e su Rai 5, prodotto da Arte e Rai Cultura, avviene a pochi giorni dall’ottavo anniversario dell’attentato del Bataclan che costò novanta vittime.
Valentina Vignoli