#ROMAFF18 – 18- 28/10/2023 SPECIALE #9: (DAY 4) PALAZZINA LAF di Michele Riondino – la recensione di VALENTINA

(da Roma Luigi Noera con la gentile collaborazione di Stefano Sica e Valentina Vignoli – Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Fondazione Cinema peri Roma)

Michele Riondino ritorna alle sue origini con un film di denuncia sociale

Esordio alla regia per l’attore Michele Riondino che, presentando Palazzina LAF alla Festa del Cinema di Roma, ha fatto una dichiarazione importante: “Da noi la classe operaia non va in paradiso.”

Taranto, fine anni ’90. Caterino Lamanna (Michele Riondino, straordinario, ci ricorda le migliori interpretazioni di Favino) lavora come operaio all’ILVA ed è il protagonista di questa storia paradossale. Antieroe dei nostri tempi, Lamanna non ci pensa due volte quando gli viene offerta la possibilità di allontanarsi dai forni e dalle cocherie, dove ogni giorno viene esposto a diossina ed amianto.

Dalle condizioni disumane della fabbrica, Lamanna diventa caposquadra della cosiddetta “Palazzina LAF”; il suo compito è quello di spiare gli altri “impiegati” e riferire tutto al boss (un Elio Germano convincente).

Perché proprio Caterino? Perché è un uomo disperato, e non ha gli strumenti per rendersi conto di quanto sia ingrato il suo incarico.

Circondato da professionisti costretti a far nulla o assegnati ad incarichi che non c’entrano niente con le loro competenze, Lamanna non soffre l’immobilità, “l’esilio” a cui viene confinato, mentre intorno a lui vediamo crescere un’insoddisfazione lacerante che vuole reagire.

Un ritmo che riesce a coinvolgere, tra attimi di tensione e piccole dosi di humour avvincente che si inseriscono nella paralisi della vita della palazzina.

Ambientato a Taranto, dove Riondino è nato, il film si inserisce subito in un discorso politico e storico ma vive di un’attualità che ci permette di riflettere sul nostro paese e sullo stato delle cose. I professionisti costretti a far nulla potremmo interpretarli anche allargando la cornice, pensando a tutti quei giovani laureati che si ritrovano senza lavoro: “esiliati” a fare mestieri che non gli spettano perché tanto diversi, tanto lontani da ciò che hanno studiato. Le scelte musicali sorprendenti, come The Bad Touch che accompagna il titolo all’inizio del lungometraggio, fanno forse riferimento proprio ad una intera generazione di giovani. La Palazzina LAF diventa così la metafora di un’Italia stagnante, dove gli unici a guadagnare sono i disonesti. E più c’è ignoranza, più hanno il lasciapassare; perché, come è possibile ribellarsi davanti ad un sistema che non si comprende?

Valentina Vignoli

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