#VENEZIA79 – 31/8 -10/9/2022 SPECIALE #14: (DAY 8) le recensioni di Vittorio De Agrò

(da Venezia Luigi Noera con la gentile collaborazione di Maria Vittoria Battaglia, Vittorio De Agrò e Anna Maria Stramondo – Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Biennale)

ALICE DIOP INCANTA IL LIDO

VENEZIA 79 Concorso

SAINT OMER di ALICE DIOP con Kayije Kagame, Guslagie Malanda, Valérie Dréville, Aurélia Petit / Francia / 122’

Sinossi:

Tribunale di Saint-Omer. La giovane scrittrice Rama assiste al processo a Laurence Coly, una donna accusata di aver ucciso la figlia di quindici mesi, abbandonata all’arrivo dell’alta marea su una spiaggia nel nord della Francia. Ma mentre il processo va avanti, le parole dell’accusata e le deposizioni dei testimoni sconvolgeranno le certezze di Rama, e metteranno in discussione anche la nostra capacità di giudizio.

RECENSIONE:

Cosa significa, rappresenta oggi la la figura materna?

Essere madre presuppone amare incondizionatamente il proprio figlio?

La maternità è una benedizione , ma allo stesso tempo  può trascinare una donna in un tragico buco nero.

Una donna può scoprirsi fragile, inadeguata , timorosa di fronte alla sfida più bella e difficile della vita stessa. Negli ultimi  anni sono drasticamente aumentati i casi di infanticidio da parte di giovani madri travolte da un impegno rivelatosi  più grande di loro. Queste madri /assassine sono quindi  dei mostri da condannare e chiudere in carcere senza alcuna esitazione o forse sarebbe il caso di analizzare caso per caso?

È  arduo prendere posizione definitiva  su una tematica  così scivolosa e complessa.

Alice Diop   ha tentato di dare una  propria originale risposta realizzando un opera prima rischiosa, potente , delicata quanto magnetica  a livello registisco e narrativo.

Numerose pellicole sono state realizzate avendo come obiettivo narrativo la rievocazione di un processo. Abbiamo visto processi vissuti con le prospettiva del cliente, del giudice,  della vittima. Ogni processo cinematografico porta avanti una tesi legale e l’idea di giustizia immaginata dal regista di turno. Alice Diop ricostruisce il processo alla giovane madre senegalese senza che ci sia mai uno scambio, un dialogo tra l’accusata e Rama , l’altra protagonista del film.

Le due donne “incrociano”lo sguardo un paio di volte o poco piu, eppure lo spettatore percepisce la forte connessione emotiva tra le due.

Alice Diop anziché muoversi su linee registiche  consolidate nelle scene processuali come l’incalzante e polemico  botta e risposta tra accusa e difesa o con la  drammatizzazione di un interragotorio, vira in modo originale e decisamente vincente per lunghi campi di sequenza.

Il processo è raccontato, vissuto , sentito come se lo spettatore fosse in aula. Ascoltiamo le  deposizioni dell’imputata e dei testimoni , le domanda della Presidente della corte e degli avvocati. I tempi sono volutamente dilatati , in alcuni  momenti  si fatica eppure  non ci sono cali di tensione ed interesse durante la visione. Si rimane conquistati  da una storia grondante  da una parre disperazione e amore e dall’altra follia ed egoismo.

“Saint Omer” pur essendo un processo sulla morte di una bambino di 18 mesi, si rivela  ben presto un processo alla maternità in generale e se  la reo confessa Laurence possa avere delle attenuanti per il suo gesto poiché lasciata sola da tutti.

Una madre è alla sbarra, mentre Rama  diventerà madre tra qualche mese. Due giovani donne che per motivi diversi hanno o stanno reagendo negativamente a questo cambiamento. Rama  ascoltando l’orgogliosa e discutibile difesa di Laurence(  vittima di stregoneria) teme di rivedersi, di poter compiere lo stesso  tragico destino.

Con questo processo  due donne  compiono un  passaggio delicato quanto decisivo della loro vita da una parte Laurence non vuole essere condannata e ricordata come un mostro, assassina della sua bambina. Rama invece non vuole ripetere gli errori compiuti da sua madre con lei. Le due protagoniste dimostrano di possedere carisma, personalità e talento in aggiunta ad una bellezza fisica indubbia.

Una presenza fisica utizzata dalla regista come ulteriore  strumento narrativo e strutturale del film. Un ascolto silenzioso ma partecipato  di Rama ed invece quella di Laurenece è  sferzante, mai doma, determinata.

La visione” di Saint Omer” ti lascia un senso agrodolce di fronte in una storia dove nessun è esente da colpe. Laurence ha pagato e pagherà un prezzo enorme per tutta la vita. Rama forse troverà risposta alle sue paure da futura mamma. Ma chi stabilisce quale donna  sua una buona madre? Un tribunale ?le avversita della vita?

GdA SELEZIONE UFFICIALE IN CONCORSO

BENTU di Salvatore Mereu Italia, 2022, 70’, prima mondiale – Raffaele ha appena raccolto il suo piccolo mucchio di grano che sarà la provvista di un anno intero. Per non farsi trovare impreparato, da giorni dorme in campagna, lontano da tutti, in attesa che il vento arrivi e lo aiuti a separare finalmente i chicchi dalla paglia. Ma il vento non ne vuole sapere di farsi vedere. Solo Angelino viene a trovarlo ogni giorno per non farlo sentire meno solo. Un giorno, forse, quando sarà grande, Raffaele potrà prestargli la sua indomita cavalla e lui potrà finalmente cavalcarla. Ma Angelino non vuole aspettare…

RECENSIONE:

La vita di un agricoltore è dura, faticosa, avara di gioie e segnata da continui sacrifici e dalla  lotta impari contro i “capricci” di Madre Natura. Oggi per via della guerra in Ucraina, abbiamo “scoperto” e soprattutto “compreso” il valore grano  e quali disastrose conseguenze possa provocarne la carenza /assenza sul piano internazionale.

La Sardegna è stata considerata  per decenni come uno dei più importanti “granai” europei , avendo  centinaia di ettari lavorati e raccolti mano dai contadini prima dell’arrivo delle prime mietitrebbia.

Il grano come ogni coltivazione ha bisogno dei favori e benevolenza del clima ed in particolare  gli agricoltori aspettavano, aspettano il vento per dividere il  grano dalla paglia. “Il vento” che in sardo è tradotto in “Bentu”, è il protagonista , il conviviale di pietra, una sorta di Godot su cui ruota l’intero intreccio.

Un’ attesa che Salvatore Mereu ha voluto mostrarci, raccontarci portando lo spettatore nella Sardegna degli anni 50, facendoci conoscere il rude ed indomito contadino Raffaele nella sua missione di raccogliere il  proprio grano.

Mereu opta per uno stile registico asciutto, essenziale, quasi di carattere documentaristico, nonostante il punto di partenza è script di finzione. Da una parte “Bentu”   vuole dare risalto alla figura di Raffaele,  una vita dedita al lavoro sui campi, alla quasi solitudine .

Un uomo che poggia le proprie certezze sull’esperienza e sul clima rifiutandosi di cedere il passo alla tecnologia.

Raffaele rappresenta un’Italia contadina che ormai non esiste più, salvo rare eccezioni, ma il suo fare scorbutico, di parlare esclusivamente in dialetto , trasmette allo spettatore un sincera simpatia ed apprezzamento.

Raffaele  ci appare come una via di mezzo tra “l’ultimo dei giapponesi” e un Don Chisciotte in chiave agraria e proprio quest’ultima figura letteraria ci permette di  vedere in Angelino, l’altro giovane protagonista, nell’atipico ruolo di Sancho Panza, amico ed in ultimo analisi d’ apprendista agricoltore oltre che cavallerizzo.

“Bentu” è anche l’improbabile quanto genuina storia d’amicizia  tra un vecchio ed un ragazzo  che sulla carta non dovrebbero avere nulla in comune.  Ma è anche un film generazionale su un Sardegna lontana quanto attuale nell’arretratezza e povertà di molte sue zoni. Il grano è utilizzato come strumento simbolico oltre che agricolo nell’evidenziare come il nostro Paese sia ancora fermo e  privo di sbocchi ed alternative per i giovani . “Bentu” è un piccolo film magari rivolto per un pubblico di nicchia, ma che sarà apprezzato da chi ama la Sardegna e il modo di pensare e fare dei sardi.

Vittorio De Agrò (RS)

Lascia un commento

Top