SPECIALE 71ma #BERLINALE – sessione 1/5 marzo 2021 #6 (DAY 1): Nous di Alice Diop – la recensione di Marina Pavido

(da Berlino Luigi Noera con la gentile collaborazione di Marina Pavido – Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Berlinale)

Presentato in anteprima alla Berlinale 2021 – sezione Encounters – Nous è l’ultimo lungometraggio della regista francese Alice Diop.

La RER, a Parigi, è una speciale rete di trasporti metropolitana. E proprio come a suo tempo ha fatto Ganfranco Rosi nel documentario Sacro G.R.A., la regista ci ha raccontato una serie di storie di persone che abitano in diverse zone della città (in cui, appunto, passa la RER) al fine di tracciare un variopinto affresco della società contemporanea, mostrandoci ogni volta le più disparate situazioni e osservando le persone di volta in volta filmate con il dovuto distacco, ma anche con una straordinaria vicinanza. Fisica ed emotiva.

E così, il documentario presenta una struttura ellittica: si apre e si chiude con l’immagine di una famiglia di cacciatori che osservano da lontano, con il loro binocolo, un cervo. Da quel momento in avanti, numerose storie prenderanno vita davanti ai nostri occhi. Un giovane meccanico proveniente dal Mali deciderà di inviare a sua madre un nuovo telefono cellulare. Una donna lavora come infermiera e ogni giorno va di casa in casa ad assistere le persone anziane. Sui loro volti i segni di un passato difficile e di numerose sofferenze, che, tuttavia, lasciano ben presto il posto al sorriso e a una certa resilienza. Perché, di fatto, è proprio la resilienza a permettere a queste persone di non “perdersi”, di andare avanti, di proseguire il loro lungo e difficile cammino all’interno della grande e cosmopolita Parigi.

Il risultato finale è un documentario pulito e sincero, un documentario ricco e variegato, dai mille colori e dalle numerose sfaccettature. Segno di una società in cui è più che mai difficile mantenere il contatto con sé stessi e acquisire una propria consapevolezza. Una società osservata da Alice Diop in modo affettuoso e ossequioso: durante le riprese la regista, fatta eccezione per qualche fugace scambio di battute con i protagonisti, ci appare il più possibile invisibile davanti alla macchina da presa. Al contrario, la stessa lascia che siano proprio i protagonisti a comportarsi con naturalezza, continuando le loro consuete mansioni. Non ha paura, la regista, dei lunghi silenzi. E a volte è proprio la natura – o, a seconda delle situazioni, la città – che con i suoi rumori rompe il silenzio e crea una sorta di sinfonia che si fa immediatamente leit motiv dell’intero lavoro.

Ed ecco che, immediatamente, ripensiamo al documentario di Gianfranco Rosi e a quanto lo stesso si differisca dalla pellicola della Diop. In Sacro G.R.A., purtroppo, le storie dei protagonisti risultano spesso “artefatte”, come offuscate da una sorta di megalomania di fondo da parte del regista. Nel presente We, invece, la parole viene lasciata esclusivamente ai protagonisti. Sono loro, di volta in volta, a dar vita al documentario. E la macchina da presa si fa immediatamente preziosa confidente e spettatrice silente di quanto accade davanti al proprio obiettivo.

Marina Pavido

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