Beppe Tufarulo ci parla del suo recente lavoro: #BARADAR – fratellanza e separazione

Beppe Tufarulo, candidato David di Donatello 2020 per il cortometraggio Baradar, la storia di due fratelli costretti a scappare da un paese dilaniato dalla guerra che si troveranno ad affrontare anche il dramma della separazione. (intervista di Maria Vittoria Battaglia)

Beppe Tufarulo ha iniziato la sua carriera di regista con MTV e ha scritto, diretto e curato diversi progetti, tra cui programmi TV, video musicali, promo in Italia e all’estero. Diversi dei documentari basati su temi sociali che ha diretto in vari paesi in tutto il mondo hanno ricevuto menzioni d’onore e hanno vinto premi come il Premio Ilaria Alpi per il giornalismo. Nel 2010 ha vinto la sezione Cortometraggi del Solinas Talent Prize, e questo gli ha permesso di realizzare il cortometraggio “We Love Our Clients” che ha partecipato a più di settanta festival nazionali e internazionali, vincendo numerosi premi e riconoscimenti. Negli ultimi anni , ha diretto spot televisivi e contenuti di marca per molti marchi internazionali come Armani, Diesel, Timberland, Red Bull. Oltre alla sua attività pubblicitaria, per Rai Cinema Beppe ha diretto il documentario I “Figli Della Shoah”, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma.

RaccontardiCinema: Innanzitutto volevo Ti ringraziamo per la disponibilità. Cominciamo da come è nata l’ispirazione: è venuta prima la scelta di raccontare il dramma dell’immigrazione, della guerra, della separazione e poi hai quindi cercato una storia adeguata, o prima hai conosciuto Alì Eshani – l’autore e protagonista – e quindi hai deciso di dar voce alla sua storia?

Beppe Tufarulo: In realtà questa è una tematica che mi interessava e che mi sarebbe piaciuto tanto riuscire a raccontare, ma è stato tutto molto casuale.Un giorno a pranzo parlavo con Francesco Casolo – coautore della biografia di Alì, il libro Stanotte Guardiamo Le Stelle, edito da Feltrinelli – e mi ha raccontato che aveva appena lavorato a questo libro e mi ha chiesto se volevo leggerlo.

Nel leggerlo mi sono accorto che la storia era molto forte e molto toccante, e di conseguenza mi sarebbe tanto piaciuto trovare un modo per raccontarla. All’epoca mi sembrava ancheimpossibile,perché è una storia molto lunga, è un viaggio che questi due fratelli fanno dall’Afghanistan all’Europae che dura cinque anni, quindi potenzialmente è impossibile da tradurre in un cortometraggio.

Poi, pensandoci bene, anche confrontandomi con Francesco, abbiamo individuato un momento molto forte e simbolicamente importante, che è la sera in cui Alì e suo fratello maggiore Mohammed decidono di separarsi. Secondo noi quel momento poteva essere il momento cruciale, la chiave per poter raccontare prima di tutto un rapporto di amore e di fratellanza molto forte e poi attraverso quel rapporto e quello che è successo a entrambi poter anche cogliere la tematica della migrazione.Nonabbiamo mai pensato di fare un film davvero sulla migrazione né di prendere alcun tipo di posizione politica: volevamo prima di tutto raccontare un amore fra due fratelli.E il film – il cui titolo letteralmente vuol dire fratello in lingua farsi – è esattamente questo,cioè prima di tutto un rapporto tra due fratelli, comepotrebbe essere un rapporto trachiunque, restituito grazie a quello che succede in quella sera in cui si separano:il fratello più grande che rassicura il fratellopiùpiccolo, che decide di dargli dei consigli, quindi tutte cose molto semplici e reali che però potessero poi dare la grandezza, purtroppo, del dramma della solitudine che lascia un bambino di dodici anni senza nessuno al mondo, senza neanche suo fratello maggiore.

RdC: A proposito di questo rapporto fraterno, anche gli attori sono due fratelli, tra l’altro prima di essere attori sono persone coinvolte in una storia molto simile. Quindi volevo sapere anche come hai conosciuto Nawid e DanoshSharifi, come hai deciso di coinvolgerli e come è stato questo rapporto sia tra loro come fratelli – reali e sul set – sia tra te e i due fratelli.

B: La difficoltà più grande di mettere i piedi in questo progetto è stata proprio legata a chi potevamo trovare e a come cercare i due attori,perché di fatto questo è un film che si basa soltanto  sul rapporto tra questi due fratelli. Volevamo rimanere il più fedeli possibile alla storia, quindi a livello teorico mi sarebbe piaciuto trovare due fratelli afghani più o meno di un etàanagrafica simile, ed è partita una ricerca che è durata quasi un anno e che non stava portando da nessuna parte nonostante avessi scritto e contattato diverse associazioni, compreso anche UNHCR.Inoltre la storia in realtà si svolge in Turchiama era impossibile andare a girare in Turchia, dovevamo per forza rimanere in Italiae di conseguenza anche la ricerca degli attori doveva essere per forza in Italia. A un certo punto un’associazione di Roma,Binario 15, mi ha contattato dicendomi che erano appena arrivati due fratelli per un ricongiungimento familiare con un fratello maggiore – quindi senza genitori. Mi hanno mandato una fotografia, ma non potendomi basare su una fotografia ho deciso di incontrarli di persona e sono andato a Roma, anche Alì è venuto con me e questo è stato molto emozionante.Di fronte avevo due ragazzini appena arrivati in Italia che non parlavano una parola di italiano e questo è stato il più grande ostacolo in generale, sia immediatamente,nel momento in cui li ho incontrati, sia piùavanti – avevo sempre con me un mediatore culturale perché sennò non ci sarebbe stata nessuna possibilità di interfacciarmi con loro.

E’ passato un po’ di tempo prima che io decidessi se potessero andare bene oppure no, in realtà non avevo nessun tipo di criterio per dire cosa fare con questi ragazzi e c’era anche la paura di non riuscire a girare questo film. A un certo punto però ha vinto l’istinto, giocavo molto sulla loro possibile complicità tra fratelli – anche seovviamente la differenza culturale e linguisticacreava qualche difficoltà – siamo partiti e siamo andati in puglia e sul set è successa una sorta di piccola magia da set per cui è scattato qualcosa. Poi vedendoli effettivamente mi sono sembrati subito credibili e anche naturali nonostantenon lo fossero– e per loro immagino che sia stato anche molto difficile.

RdC: Tra i temi principali che emergono,vi sono quello del legame e quello della speranza. Però l’impressione nel vedere il corto è che emergano come quando vediamo unafoto al negativo, quindi il legame in realtà che si manifesta nell’ansia della separazione e di una futura assenza, e la speranza del futuro nel dolore del ricordo del passato e di unamemoria sempre più confusa e debole. Sono andate a delinearsi così nel corso delle riprese o c’è una scelta registica dietro che ha portato a questa caratterizzazione?

B: Entrambe le cose. La scelta registica c’è nel momento in cui uno vuole provare a raccontare una storia vera e a rendere quella storiail più credibile possibile. Dal punto di vista registico questo – soprattutto in questo caso di “non attori” –significa esserepiù delicati e non invasivi. Faccio anche tanti documentari e ogni tanto mi piace cercare di averequello sguardo documentaristicoanche in una situazione come questa, di uno scritto o di fiction. Quindi ho cercato di non essere troppo invasivo e quando possibile di spiare,giocando anche sul fatto che loro fossero fratelli e cercando di restituire quello che Alì ha raccontato e che è ben inserito nel libro, ossia la naturalezza con cui questi due fratelli passano dei momenti anche molto semplici. Nel cortometraggio ci sono tutta una serie di scene, anche la prima in cui si vedono due ragazzi che corrono, ridono e si divertono con un gommone in mano, una scena che si potrebbe vedere per qualunque ragazzino fintanto che uno non sa a cosa serve quel gommone. O anche Mohammed che gli insegna a cucinare le uova e gli dà tutta una serie di consigli molto semplici, non giocare a pallone, attento a non farti male e così via. Epoi c’è tutta questa cosa dei loro ricordi,cosa che quando ho letto il libro mi aveva molto colpito: è passato così tanto tempo e così tanto dolore che non ti ricordi più il nome di tuo papà.  Queste erano cose che dovevamo restituiree raccontare. Il come non poteva essere stabilito, c’erano delle idee, poi quelle idee si trasformano in quell’insiemedi immagini che crea un’emozione e io  spero di essere riuscito a ricreare quel genere di emozioni.

RdC: Legandomi a questa risposta ho due domande da farti. Iniziamo con quella sul ricordo. La scena in cui al telefono Alì dice di non ricordare il nomedel padre secondo me è una scena particolarmente toccante. Dunque il tema della memoria, che anche è centrale in questo cortometraggio, ritorna sempre: Quanto il ricordo, il legame con il passato, è importante nella costruzione del futuro? Deve rimanere una dimensione intima, come il dolore di questo fratello rimasto solo o è importante tutta la dimensione sociale, anche di condivisione, di questa memoria?

B: La risposta non è semplice. Noi partiamo da una storia vera, di un bambino che vive un dramma molto forte, perde di colpo i genitori e si ritrova da solo al mondo con solo suo fratello.Quello è un dramma che ognuno può vivere in maniera particolare pensando a quanto il ricordo ti può far bene o ti può far male, quanto ti porti dietro del tuo passato e delle emozioni che hai vissuto con i tuoi genitori. Tu ti porti dietro delle emozioni, dei sapori, dei ricordi, dei colori, ma alcune volte non riesci a mettere il nome a quelle cose perché le hai perse.Non so dire se quella perdita è dovuta al dramma, al tempo che è passato o alla capacità di andare avanti e di sopravvivere. Magari quando uno prova un dolore molto forte ci sono diversepossibilità di superare quel dolore,lo interiorizzi, lo nascondi, lo dimentichi: in questo piccolo film il ricordo è qualcosa di importante perché comunque hai delle origini, hai un percorso che fai e che ti porta ad arrivare da tutta altra parte e che probabilmente tiporta a cambiare completamente la tua vita, ammesso che tu sopravviva al viaggio. Te lo portidietro quel ricordo e poi lo interiorizzi come riesci a fare.

Il momento che mi ha fatto decidere di voler raccontare questa storia in un film è stato quando nel libro si racconta che Alì capisce che è rimasto da solo al mondo, non ha nessuno, e pensa “ok, tu, che sei mio fratello, mi hai insegnato tante cose, mi hai dato tanti consigli, però forse ti sei dimenticato l’unica cosa che mi dovevi dire: ma io cosa faccio se non ti trovo più, se tu non torni più da me?”. Quella solitudine, quando pensi che un bambino di dodici anni è solo al mondoe non ha nessuno, è il quid che mi ha fatto chiedere se si potesse restituire in immagini anche questa forza di andare avanti, motivo per cui si finisce con un primo piano su di lui e poi si racconta in parole quello che è riuscito a fare Alì e quello che era il suo punto di partenza cioè il niente, l’essere rimasto da solo. E Alì ha fatto un percorso incredibile e per la forza che ha trovato per farlo sicuramente i ricordi sono stati fondamentali. Peròquesta è una domanda da fare ad Ali, io interpreto.

RdC: Riguardo alla risposta precedente, in cui avevi citato la scena iniziale, ti faccio l’altra domanda. Mi sembra chea partire dalla scena iniziale e poi rimanendo costante per tutto il cortometraggio ci sia un continuo contrasto tra il giallo e il nero, già il titolo è giallo su sfondo nero,  poi nelle scene vi è questa luce molto calda che riflette sui volti dei ragazzi in queste stanze molto buie, e anche nella stessa scena iniziale, dove c’è il sole e una luce molto calda, i panni stesi  alle finestre sono prevalentemente gialli, e anche il gommone stesso è giallo. Mi sembra quindi che il contrasto che emergeva tra le emozioni venga rimarcato in questo gioco di luci e di colori. E’ una suggestione mia da spettatrice, è una scelta prettamente estetica, o è un elemento costitutivo del linguaggio del film stesso?

B: Un po’ tutte le cose che hai detto.Ovviamente non è casuale, c’è sempre uno studio sui colori che uno fa con il direttore della fotografia scegliendo una palette colori e un mooddei colori, caldi o freddi.Questo tipo di approccio c’è sempre.

Poi non è partito dallo scegliere il giallo e il nero ma semplicemente dal dire che cisono solo loro due, che sono due ragazzini, e noi li seguiamo in un momento di spensieratezza nonostante il contesto e quello che stanno vivendo, e li vediamoin momenti di arrabbiatura, momenti di complicità e momenti di dolore. Questo si traduce in situazioni molto intime esituazioni molto solari. Quindi proprio seguendo fedelmente le emozioni i colori sono arrivati di conseguenza.

RdC: Un’ultima domanda, su eventuali progetti in futuro soprattutto in relazione a questo cortometraggio: c’è l’idea, anche solo allo stato embrionale, di trasformarlo in futuro in un lungometraggio?

B: Come ti dicevo prima io vengo anche dal documentario e molti progetti che potrei fare in futuro vanno in quella direzione lì.

Adesso è uscito il documentario su Tiziano Ferro per Prime Video e vorrei seguire quel tipo di progetti, cioè progetti in cui al centro c’è una storia vera, un essere umano, e raccontare quelle emozioni e quelle sensazioni.

Non ti nego che con Francesco, lo sceneggiatore, abbiamo parlato, pensato e affrontato le idee di poter rendere la storia di Alìqualcos’altro, ma daqui a dire che questa cosa si riuscirà a realizzare la vedo un po’ complicata.Ovviamente ci sono sempre delle tematiche un po’ scomode e più difficili da sviluppareperché alcuni interlocutori possono essere più o meno spaventati da certe tematiche oda certe modalità di raccontarle.

L’idea c’è, nella nostra testa, è molto chiara, e noi vorremmo raccontare la vita di quel bambino,Ali, il giorno in cui è arrivato in Italia. Quello che ci piacerebbe incontrare in un film è dunqueproprio la seconda parte,il momento in cui quel bambino arriva in Italia e adesso è un uomo di x anni che si è laureato: come è riuscito a decidere quella strada e non un’altra?Questo è quello che vorremmo raccontare in un film, poi ovviamente è un’idea e come tale non so se si riuscirà a concretizzare.

RdC: gentile Beppe ti ringraziamo ancora tantissimo per la disponibilità e buon lavoro.  Arrivederci!

NdR: l’intervista è stata effettuata da Maria Vittoria Battaglia che ringraziamo.

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