Le banalità di Tutta un’altra Vita di Alessandro Pondi – la recensione di Marina Pavido

Nelle sale italiane dal 12 settembre, Tutta un’altra Vita è l’opera seconda del regista Alessandro Pondi.

La storia messa in scena è quella di Gianni (impersonato da Brignano, appunto), un tassista ossessionato dal gioco del lotto, sposato da anni con Lorella (Paola Minaccioni) e perennemente insoddisfatto della propria vita. Le cose sembreranno (almeno temporaneamente) cambiare nel momento in cui, dopo aver accompagnato con il taxi una coppia all’aeroporto ed essersi ritrovato le loro chiavi di casa nella macchina, l’uomo entrerà nella loro lussuosa villa, vivendo, per pochi giorni, una vita tutta nuova.

Malgrado, dunque, un incipit che – pur volendo sorvolare su ingenuità registiche di ogni genere e discutibili prove recitative di personaggi secondari – di fatto un buon piglio sembra averlo, ecco che, man mano che si va avanti con la messa in scena, il regista altro non ha fatto che lasciarsi prendere la mano da ogni qualsivoglia banalità, con tanto di risvolti narrativi fortemente prevedibili ed evidenti buchi in sceneggiatura (vedi, ad esempio, personaggi che entrano in contatto tra loro in modo non ben precisato ed eccessive ellissi narrative).

E se, al termine della visione, in molti potrebbero rimanere perplessi di fronte alla morale stessa di gran parte dei personaggi protagonisti, probabilmente la soluzione finale adottata dal regista è, volendo, uno degli elementi meno scontati di tutto il lungometraggio. Un lungometraggio di cui, molto probabilmente, già dopo pochi mesi dalla sua permanenza in sala, resterà ben poco nelle menti degli spettatori e che, nonostante gli evidenti tentativi di dar vita a qualcosa di totalmente nuovo, finisce irrimediabilmente per somigliare come una goccia d’acqua al gran numero di commedie che, ogni anno, vengono prodotte in Italia.

Non resterà davvero nulla, dunque, del presente Tutta un’altra Vita? Probabilmente, ciò che maggiormente distingue il presente lavoro è proprio la buona interpretazione di Enrico Brignano, valorizzato – oltre che dalla sua comprovata bravura – anche da una sceneggiatura che vede la caratterizzazione del suo personaggio di gran lunga meglio riuscita rispetto alle altre figure presenti nel film. Ma questo, ovviamente, non basta a far sì che un lavoro possa dirsi realmente riuscito.

Marina Pavido

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