LIGABUE e il suo terzo film: un atto d’amore all’Italia

Nelle sale italiane dal 25 gennaio, Made in Italy sancisce il ritorno del cantante Luciano Ligabue dietro la macchina da presa, dopo diversi anni di pausa.

Riko è sposato da circa vent’anni e lavora in una fabbrica di salumi. Il suo matrimonio sembra andare a rotoli, così come il suo lavoro. Ristabilita la serenità di coppia e trovatosi improvvisamente disoccupato, l’uomo faticherà a trovare un nuovo impiego. L’unica soluzione sembrerebbe quella di lasciare definitivamente l’Italia.

La storia qui messa in scena è la stessa raccontata da molti altri lungometraggi italiani contemporanei: la crisi, l’amore per il proprio paese e per la famiglia, la precarietà del lavoro sono tematiche che ricorrono piuttosto frequentemente, ai giorni nostri. Ma la cosa in sé non sarebbe un problema, nel caso in cui il prodotto in questione fosse un lungometraggio valido e ben realizzato. Il problema di un film come Made in Italy, però, è che, malgrado le iniziali buone intenzioni, malgrado l’evidente empatia del regista/cantante nei confronti della storia, a causa di uno script che fa acqua da tutte le parti e di interpreti che – sebbene indubbiamente validi – sembrano non sentirsi particolarmente a proprio agio nei panni dei personaggi qui impersonati, si è finito inevitabilmente per dare vita ad un lavoro quasi raffazzonato e, a tratti, anche involontariamente comico, dove imbarazzanti dialoghi fanno da cornice ad una sceneggiatura sfilacciata e pericolosamente disorganizzata.

Ed ecco che l’iniziale conflitto del protagonista – ossia la sua infelicità coniugale – viene risolto in men che non si dica dopo soli pochi minuti, per lasciare il posto ad altre questioni come la crisi lavorativa o la morte di un amico, lasciando però in sospeso elementi precedentemente tirati in ballo (vedi, ad esempio, la figura dell’amante di Riko che, una volta scaricata, minaccia di raccontare tutto alla moglie).

Anche da un punto di vista prettamente registico, Made in Italy lascia parecchio a desiderare. Una regia a tratti macchinosa e piuttosto maldestra non riesce a dare a scene studiate ad hoc il pathos necessario. È questo, ad esempio, il caso della sequenza in cui vediamo Riko ed i suoi amici correre di notte per Roma su dei monopattini elettrici per turisti – con in sottofondo, rigorosamente, la voce del cantante – o del momento in cui vediamo il protagonista organizzare insieme alla moglie una specie di finto matrimonio, atto a coronare definitivamente il loro amore.

E così, anche se i precedenti lavori del cantante – Radiofreccia e Da zero a dieci – tutto sommato non si erano rivelati dei prodotti completamente disprezzabili, questo Made in Italy proprio non è riuscito a far centro. Chissà cosa accadrà con il prossimo lungometraggio!

Marina Pavido

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