#VENEZIA79 – 31/8 -10/9/2022 SPECIALE #17: (DAY 10)

(da Venezia Luigi Noera con la gentile collaborazione di Maria Vittoria Battaglia, Vittorio De Agrò e Anna Maria Stramondo – Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Biennale)

La Mostra da il meglio di se con Susanna Nicchiarelli e Jafar Panahi

VENEZIA 79 Concorso

CHIARA di SUSANNA NICCHIARELLI con Margherita Mazzucco, Andrea Carpenzano, Carlotta Natoli, Paola Tiziana Cruciani, Luigi Lo Cascio / Italia, Belgio / 106’

SINOSSI

Assisi, 1211. Chiara ha diciotto anni, e una notte scappa dalla casa paterna per raggiungere il suo amico Francesco. Da quel momento la sua vita cambia per sempre. Non si piegherà alla violenza dei famigliari, e si opporrà persino al Papa: lotterà con tutto il suo carisma per sé e per le donne che si uniranno a lei, per vedere realizzato il suo sogno di libertà. La storia di una santa. La storia di una ragazza e della sua rivoluzione.

COMMENTO DELLA REGISTA

“La storia di Chiara e Francesco è entusiasmante. Riscoprire la dimensione politica, oltre che spirituale, della ‘radicalità’ delle loro vite – la povertà, la scelta di condurre un’esistenza sempre dalla parte degli ultimi ai margini di una società ingiusta, il sogno di una vita di comunità senza gerarchie e meccanismi di potere – significa riflettere sull’impatto che il francescanesimo ha avuto sul pensiero laico, interrogandosi con rispetto sul mistero della trascendenza. La vita di Chiara, meno conosciuta di quella di Francesco, ci restituisce l’energia del rinnovamento, l’entusiasmo contagioso della gioventù, ma anche la drammaticità che qualunque rivoluzione degna di questo nome porta con sé.”

RECENSIONE

In questo terzo film dai sapori biografici si conclude l’excursus della regista la quale dopo aver vivisezionato la figura di altre due donne famose (la Rock Star NICO e la figlia di Marx) affronta adesso il tema del misticismo considerando la figura di Santa Chiara nella vita secolare Chiara Fragoni.

Ne viene fuori una Santa dai connotati pasoliniani (il film è stato girato nella campagna dellaTuscia) dove il paesaggio è bucolico come lo sono anche le musiche e i versi.

Per immedisimarsi nel personaggio viene utilizzato il vulgare dei tempi del Santo Francesco.

Ovviamente c’è lo stile femminista proprio della regista nel raccontare la ribellione di Chiara che la induce a creare un ordine parallelo a quello di confratelli di Francesco. Ma tutto ciò in uno stile schietto senza violenza, ma con fermezza.

La storia si svolge nei primi decenni del 1200 quando il Papa Grgorio IX autorizza la regola delle Clarisse seguaci della sequela a cui si impronta la vita di Santa Chiara.

E’ formidabile la semplicità interpretativa della protagonista che eravamo abituati a vedere nella Amica Geniale che ha saputo scrollarsi di dosso.

Ambientato nell’arco di due decenni all’inizio del XIII secolo, il film racconta la storia di Chiara d’Assisi, nata Chiara Offreduccio, figlia di una nobile famiglia che rifiutò i privilegi mondani per diventare una seguace, poi pari, di Francesco d’Assisi, e che fece voto di assoluta povertà come fondatrice di un ordine di suore, conosciute in inglese come le Poor Clares. Il film inizia nel 1211, quando Chiara (Margherita Mazzucco) e la sua amica Pacifica fuggono di notte attraverso un bosco per raggiungere Francesco (Andrea Carpenzano). Le due giovani donne si tagliano i capelli, fanno voto di devozione ed entrano in un convento dove diventano ancelle delle altre suore. Ma Chiara rifiuta l’idea della gerarchia e fonda una comunità su linee egualitarie dove tutti sono uguali e nessuno servitore, e dove Chiara insiste di non essere una badessa, ma solo una delle suore (è anche una comunità che accoglie donne e uomini allo stesso modo) .

Col passare del tempo, Clare sembra mostrare poteri miracolosi – visti prima nella sua capacità di guarigione (anche se a un certo punto si tratta solo di estrarre una pietra dal naso di un ragazzo), poi in manifestazioni più spettacolari, come quando impedisce a sua sorella di essere trascinati via con la forza dal brutale zio. Questo è davvero un film sulla resistenza delle donne al patriarcato, che non ha una P maiuscola molto più definitiva di quanto non faccia nella forma del Vaticano. Chiara si ritrova sotto la mano restrittiva del cardinale Ugolino (Luigi Lo Cascio), poi divenuto Papa Gregorio IX, per una questione che può sembrare esoterica agli spettatori non cattolici, ma qui è centrale: il suo diritto a gestire una comunità femminile che ha il ‘privilegio della povertà’.

Un’altra questione di dottrina riguarda l’opportunità o meno di tradurre i testi sacri dal latino in volgare, a beneficio dei credenti meno privilegiati – e quando Chiara lo fa, è evidente che questo è un momento di svolta, non solo per lei ma per il cristianesimo. La lingua è centrale in un film i cui dialoghi sono nel volgare umbro dell’epoca, la stessa lingua in cui san Francesco scriveva i suoi versetti sul Cantico delle Creature.

Molti hanno storto il naso, ma il tempo farà giustizia su questo delicato ritratto della Santa.

KHERS NIST (NO BEARS) di JAFAR PANAHI con Jafar Panahi, Naser Hashemi, Vahid Mobaseri, Bakhtiar Panjeei, Mina Kavani, Reza Heydari / Iran / 106’

SINOSSI

Khers nist ritrae due storie d’amore parallele. In entrambe, gli innamorati sono tormentati da ostacoli nascosti e ineluttabili: la forza della superstizione e le dinamiche del potere.

RECENSIONE

Il regista iraniano Jafar Panahi che sta scontando il divieto di esercitare la sua passione per il cinema e la cultura e soprattutto per la libertà di espressione è a buon ragione amato da Alberto Barbera e presenta un film dove ancora una volta ci mette la faccia non solo come autore ma anche come protagonista.

Diversamente dalle altre sue recenti produzioni come il poetico TAXI Theran (2015) e l’altrettanto film denuncia Trois Visage (2018) questa volta ci consegna un film nel film.

Il film inizia con una lunga ripresa favolosamente abile, che mostra una scena di strada in una città turca, dove una cameriera di un caffè di nome Zara (Mina Kavani) incontra suo marito Bakhtiar (Bakhtiar Panjeei). Le ha portato un passaporto rubato che le permetterà di raggiungere Parigi, dove Bakhtiar intende raggiungerla; i coniugi sono iraniani che da tempo cercano di lasciare definitivamente il Paese.

Proprio quando stiamo iniziando a essere coinvolti nella loro storia, qualcuno grida “Taglia!”, E una transizione astuta mostra la scena guardata su un laptop nientemeno che da Jafar Panahi, che interpreta se stesso. Sta dirigendo un film a distanza – una docu-fiction basata sulle esperienze reali della coppia – e per essere più vicino alle riprese, ha scelto di stare in un piccolo villaggio iraniano vicino al confine turco.

La persona che lo ospita è guardingo e dopo averlo spiato gli comunica l’impossibilità di ospitarlo ancora temendo per la propria incolumità.

Pahani è testardo e sebbene abbia difficoltà a relazionarsi con il suo operatore in Turchia decide di incontralo in una zona border line.

Il film non ti da respiro e serpeggia nell’aria una tragedia incombente, che è poi il doppio finale delle due storie: quella del film che sta realizzando e quella dlla vita vera vissuta dal regista.

In un regime autoritario non c’è spazio per la libertà. Possiamo solo ringraziarlo oltre che per la potenza delle immagini, anche per la sua tenacia nel denunciare quanto accade in Iran.

Il film si conclude, dopo una ripresa prolungata, con l’immagine di Panahi nella sua macchina che guarda avanti, apparentemente contemplando la sua situazione attuale e il suo futuro. Data la sua situazione attuale, quel finale non potrebbe essere più risonante – e No Bears non potrebbe essere più potente come dichiarazione di serietà etica, tenacia e sfida nei confronti degli orsi, reali o immaginari, della paura.

LES MIENS (OUR TIES) di ROSCHDY ZEM con Sami Bouajila, Roschdy Zem, Meriem Serbah, Maïwenn, Rachid Bouchareb, Abel Jafrei, Nina Zem / Francia / 85’

SINOSSI

Moussa è sempre stato premuroso, altruista e disponibile nei confronti della sua famiglia, al contrario del fratello Ryad, presentatore televisivo di successo, criticato da parenti e amici per il suo egocentrismo. L’unico a difenderlo è Moussa, che prova grande ammirazione per lui. Un giorno però una caduta accidentale provoca a Moussa un grave trauma cranico: ormai irriconoscibile, l’uomo parla senza filtri svelando agli amici e alla famiglia brutali verità difficili da accettare, e finisce per litigare con tutti, tranne che con Ryad…

COMMENTO DEL REGISTA

“Girare questo film non è stata una decisione, per me è stata una necessità. Non avevo mai rivelato questioni così personali nelle mie opere. Attraverso il ritratto di una famiglia, ho voluto condividere drammi, conflitti, nevrosi, dolori e anche momenti di felicità, evitando distorsioni culturali o religiose, per me sempre troppo presenti quando si parla di una generazione di origine immigrata. La famiglia è un rifugio da cui si deve scappare, per potersi mostrare come si è. Questo film è la mia storia d’amore con la mia gente.”

RECENSIONE

Moussa è stato mollato improvvisamente dalla moglie Nora che porta con se la piccola figlia.

Sono una famiglia di origine marocchina e sono approdati in Francia dove si sono ben integrati. Moussa ha un fratello Ryad che superimpegnato e menefreghista ed una sorella Samia. Insomma il ritratto di una famiglia come tante altre che è ben integrata in un paese straniero.

L’equilibrio familiare è bruscamente interrotto da una caduta del protagonista che sbatte la testa e non sembra essere più lui non ricordando il suo passato.

Siamo a Parigi, dove questa famiglia francese di origine nordafricana è costretta a navigare in un paesaggio emotivo rischioso quando una banale caduta cambia radicalmente la personalità di Moussa, da sempre laborioso ed empatico.

Our Ties (Les Miens), diretto e interpretato da Roschdy Zem il quale, attingendo agli eventi della sua stessa famiglia ha scritto la sceneggiatura con Maiwen, coprotagonista.

Il film è un ottimo ritrci mostra come un trauma cranico possa svincolare il cervello da un comportamento razionale. Moussa è stato un cittadino modello e all’improvviso non lo è più. Il suo bel viso deformato da una fronte sporgente e con il dolore e la tristezza come compagni costanti.

Ma soprattutto è cambiato il suo rapporto nei confronti dei familiari. Insomma la malattia del singolo componente si trasforma nella mattia della famiglia intera. Cosicché il fratello Ryad alla fine è costretto ad occuparsi effetivamente di MOussa.

E’ grazie alla malattia se i due fratelli dopo tanto tempo iniziano a relazionarsi tanto da produrre netti miglioramenti nel comportamento di Moussa.

Possiamo definirlo un film di speranza per i rapporti familiari. Niente è impossibile soprattutto da una vicenda negativa può scaturire del Bene.

Our Ties è un ingresso completamente contemporaneo, ovviamente personale e in definitiva edificante nella filmografia del regista

ORIZZONTI EXTRA

JANAIN MUALAQA (HANGING GARDENS) di AHMED YASSIN AL DARADJI con Wissam Diyaa, Jawad Al Shakarji, Hussain Muhammad Jalil, Akram Mazen Ali / Iraq, Palestina, Arabia Saudita, Egitto, UK / 117’

SINOSSI

I fratelli As’ad e Taha, di dodici e ventotto anni, sbarcano il lunario raccogliendo rifiuti nei ‘Giardini pensili’ – soprannome che la gente del luogo ha affibbiato alle fumanti discariche di Baghdad – eppure riescono a farsi bastare quello che hanno. Un giorno As’ad trova una bambola gonfiabile americana: porta a casa l’oggetto proibito e lo sfoggia come se fosse qualcosa di meraviglioso. Taha aggredisce il fratello, accusandolo di aver rovinato la loro reputazione, e As’ad si rifugia ai Giardini Pensili, deciso a vivere lì assieme al suo straordinario ritrovamento.

Quando As’ad e il suo amico quattordicenne Amir scoprono che la bambola sa parlare, le insegnano il linguaggio della seduzione in arabo e la mettono al lavoro. Gli affari vanno a gonfie vele; i ragazzi attirano l’attenzione dei giovani del posto, ma anche degli sgherri del boss locale.

As’ad incomincia ad avere dubbi sul modo in cui stanno sfruttando la bambola; prima però che lui possa salvarla da altre umiliazioni, la bambola viene rapita. As’ad e Amir si mettono sulle tracce del sospetto numero uno, ma finiscono per scoprire che si tratta di un informatore.

Il boss ordina allora di rapire As’ad e Amir per mettere in atto le crudeli e umilianti punizioni che ha in mente per loro. As’ad riesce però a salvarsi, portando a termine il viaggio che aveva intrapreso, e a riconciliarsi con le scelte che aveva fatto.

COMMENTO DEL REGISTA

“Io ho due intenti paralleli: mettere in discussione lo status quo e intrattenere. Senza essere provocatiorio e senza causare angoscia, voglio porre domande tramite una storia coinvolgente e appassionante in cui i protagonisti si chiedono “Cosa succederebbe se?”, mentre gli spettatori pensano “Cosa farei io al posto loro?”.

Ho scelto i miei giovani attori e la squadra di supporto nel quartiere dove sono cresciuto. Loro sono gli esperti dei temi e delle problematiche del film, e i miei partner creativi; insieme, siamo riusciti a trasmettere la verità della storia di As’ad nei suoi dettagli più intimi e toccanti. Il risultato finale è la prova di cosa serva oggi in Iraq non solo per sopravvivere, ma per vivere una vita dignitosa e che abbia senso.”

 RECENSIONE

Dall’Iraq un film crudo su una discarica a cielo aperto che si trova realmente a Bagdad denominata appunto giardini pensili. In questo luogo non luogo si aggirano figure di reietti come avvoltoi alla ricerca di qualcosa con cui potere sbarcare il lunario. Ci sono anche due fratelli in questa miserevole ricerca di qualcosa da rivendere. Qualche volta è possibile anche rinvenire un cadavere a cui non è stata data degna sepoltura che pietas umana verrà bruciato.

Nel suo girovagare in un inferno dantesco il piccolo Assad recupera una bambola che per lui bambino dall’infazia interrotta non è più un giocattolo con cui giocare ma un cadavere a cui dare degna sepoltura bruciandolo!

L’agile cinepresa di Munaijim è in sintonia con le tremolanti sottigliezze della performance di Jalil, mentre si tira indietro per rivelare l’intera portata dello sfondo del film, un paesaggio infernale di montagne di immondizia e crateri, dove gli sfortunati trascorrono le loro giornate a rovistare e i meno fortunati finiscono morti.

 

FUORI CONCORSO – SERIES

COPENHAGEN COWBOY (EPISODI 1-6) di NICOLAS WINDING REFN con Angela Bundalovic, Lola Corfixen, Zlatko Buric, Andreas Lykke Jørgensen, Jason Hendil-Forssell, Li Ii Zhang, Dragana Milutinovic / Danimarca / 292’

SINOSSI

Copenhagen Cowboy è una serie noir in sei episodi satura di luce al neon e adrenalina che parla di una giovane ed enigmatica eroina, Miu. Dopo una vita di servitù, alle soglie di un nuovo inizio, si aggira nel tetro paesaggio del mondo criminale di Copenaghen. Alla ricerca di giustizia e vendetta, Miu incontra la sua nemesi, Rakel, e insieme intraprendono un’odissea nel naturale e nel soprannaturale. Alla fine, il passato trasforma e definisce il loro futuro e le due donne scoprono di non essere sole, ma di essere molti.

COMMENTO DEL REGISTA

“Copenhagen Cowboy nasce dal mio fuoco rivoluzionario e cerca allo stesso tempo di sedurre e intrattenere i sensi. È progettato per stimolare la mente, gli occhi, la lingua, il cuore e l’anima: tensioni ed emozioni si accendono in un macabro tour de force che si manifesta in Miu, una nuova incarnazione dei miei alter ego, fondamentali nel mio lavoro passato, presente e futuro: Bronson (Tom Hardy) in Bronson, One Eye (Mads Mikkelsen) in Valhalla Rising, Driver (Ryan Gosling) in Drive, il Tenente (Vithaya Pansringarm) in Only God Forgives, Jesse (Elle Fanning) in The Neon Demon e i numerosi personaggi dello spettacolo Too Old to Die Young.”

RECENSIONE

Il regista visionario danese si addentra negli inferi criminali di Copenaghen

Una donna di origine albanese Copenaghenche vive a Copenaghen gestisce una attività per creduloni nei miracoli di una veggente, mentre il fratello di origine serba gestisce una società di casting.

Per entrambi i soldi sono tutto!

Anche questa volta Elle Fanning viene scelta dal regista per interpretare una parte nel film.

NICOLAS WINDING REFN  no si smentisce realizzando ancora una volta una cinematografia carica di simboli. Che però confenziona un film ordinario e ci chiediamo come è possibile sprecare tante energie per un film ordinario?

Nella tradizione letteraria danese le favole stanno al primo posto, ma qui ci ritroviamo una favola NERA.

Luigi Noera

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