UN GIORNO DI PIOGGIA A NEW YORK di Woody Allen: la recensione di Marina Pavido

Elle Fanning e Timothée Chalamet lanciatissimi alla ricerca del personaggio più amato dal regista (NYC)

Nelle sale italiane dal 28 novembre, Un Giorno di Pioggia a New York è l’ultimo lungometraggio diretto da Woody Allen.

La storia messa in scena, dunque, è quella del giovane Gatsby (Timothée Chalamet), uno studente universitario che, cogliendo l’occasione per accompagnare a New York la propria ragazza Ashleigh (Elle Fanning) – la quale deve realizzare un’intervista con un importante regista – organizza con lei un week end romantico. Le cose, tuttavia, non andranno come sperato e i due si ritroveranno a vivere numerose avventure, ognuna per conto proprio, senza riuscire mai a trovare un attimo per stare insieme.

Di elementi che in Un Giorno di Pioggia a New York ci fanno pensare a Woody Allen, ce n’è indubbiamente molti. In primis, la città di New York, da sempre vera e propria musa del regista statunitense. Anche nella presente occasione, dunque, la stessa viene trattata praticamente alla stregua di un vero e proprio personaggio, quale spettatrice silente delle bizzarre vicende della giovane coppia di fidanzatini.

In secondo luogo, non manca un raffinato commento musicale in salsa jazz, anch’esso vero e proprio marchio di fabbrica di tutta la filmografia di Woody Allen. E poi, non per ultima, la curatissima fotografia firmata Vittorio Storaro che, in questi ultimi anni in cui vediamo un Woody Allen un po’ sottotono, si rivela come uno degli elementi di maggior appeal di tutta questa seconda parte della sua carriera.

Per il resto, Un Giorno di Pioggia a New York vede – come spesso accade – un giovane protagonista in qualità di perfetta incarnazione del regista stesso. Un vero e proprio eroe involontario alla costante ricerca di sé stesso e di un suo posto nel mondo. E, nel presente caso, egli risponde al nome di Gatsby. Tale incessante ricerca di sé stesso vede numerose riflessioni sui sentimenti, sul futuro e, non per ultimo, sul passato e sulla propria famiglia. E fin qui tutto bene.

Il problema principale, tuttavia, è che tali riflessioni restano banalmente superficiali, con non pochi elementi tirati in ballo per poi non venire ripresi mai più (vedi, su tutti, la crisi di coppia del fratello del protagonista) e con un finale che ci sembra più che mai forzato, incredibilmente frettoloso. Al punto da far sì che nemmeno atmosfere particolarmente poetiche ed evocative abbiano sul pubblico l’effetto sperato. E tutto questo proprio a causa di una scrittura che sembra essere stata effettuata quasi con il pilota automatico, senza poi riflettere sui vari buchi e mancanze.

Sebbene, dunque, questa seconda parte della carriera di Allen ci appaia decisamente più”soft”, meno graffiante e memorabile, al suo interno qualche valido prodotto ce l’ha eccome. Basti pensare anche solo al recente La Ruota delle Meraviglie (2017). Eppure, questo ultimo Un Giorno di Pioggia a New York, pur regalando allo spettatore belle atmosfere e qualche sorriso di quando in quando, tende quasi a sparire all’interno della vasta produzione alleniana.

Marina Pavido

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