SPECIALE #VENEZIA76 #9 – 27 AGOSTO/7 SETTEMBRE 2019: (DAY 7) The painted Bird di Vaclav Marhoul – la recensione di Marina Pavido

(da Venezia Luigi Noera con la gentile collaborazione di Marina Pavido e Annamaria Stramondo- Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Biennale ASAC)

Non convince un bel romanzo portato sullo schermo in pellicola 35mm in B&N

Presentato n concorso alla 76° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, The painted Bird – tratto dall’omonimo romanzo di Jerzy Kosinski – è l’ultimo lavoro del regista Vaclav Marhoul.

Cosa accade, dunque, se a un uccello vengono dipinte le ali con della vernice? Semplice: una volta spiccato il volo, dal momento che nessuno del suo stormo lo riconoscerà come facente parte del gruppo, lo stesso verrà ucciso dai suoi compagni, per poi finire inevitabilmente per schiantarsi al suolo. Stesso destino (o quasi, è toccato, dunque, al giovane protagonista della pellicola, inizialmente affidato a un’anziana zia e – in seguito alla morte di lei – costretto a vagare per i campi, restando vittima di indicibili violenze, per un percorso di crescita che lo cambierà per sempre.

Indubbiamente Marhoul, in questo suo The painted Bird, ci ha messo tutto l’impegno possibile. E, di fatto, il presente lavoro, per quanto riguarda la messa in scena stessa, indubbiamente si distingue per un’ottima regia. Stesso discorso vale per la scelta di un curato bianco e nero, così come per la realizzazione in 35 mm. Il problema principale di questo lungometraggio, tuttavia, sta proprio nella sceneggiatura in sé, talmente caricata da risultare – complici anche le quasi tre ore di durata – sempre meno credibile e decisamente gratuita.

Se, infatti, la scena iniziale – in cui vediamo il bambino vittima di un attacco da parte di alcuni coetanei che, successivamente, daranno fuoco al suo furetto – ci appare immediatamente alquanto disturbante, ecco che, nel corso delle numerose peregrinazioni del giovane protagonista, i numerosi altri atti di violenza compiuti, di volta in volta, da quasi tutte le persone da lui incontrate, si rivelano talmente assurdi nella loro innaturale frequenza da far sì che lo spettatore stesso inizi pian piano a perdere di empatia.

Ed ecco che, malgrado il potenzialmente interessante tentativo di dar vita a una sorta di affresco dell’Europa dell’Est al termine della Seconda Guerra Mondiale, tutto ci appare pericolosamente gratuito, tronfio del più bieco autocompiacimento, che, malgrado l’impiego di un cast di tutto rispetto di cui fanno parte persino Udo Kier, Stellan Skarsgard e Harvey Keitel, sembra aver dimenticato le impostazioni base per far sì che una sceneggiatura possa dirsi realmente riuscita.

A poco serve, dunque, una regia complessivamente buona. A poco serve un giovane protagonista che, tutto sommato, dimostra anche una buona presenza scenica. Così come a poco serve persino la scena finale, in cui l’intero livello del lungometraggio potrebbe, volendo, anche salvarsi in corner. Il presente The painted Bird, proprio a causa di queste sue pecche, è un lavoro che certamente verrà ricordato per molto tempo. Peccato soltanto che la cosa avverrà in senso negativo.

Marina Pavido

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