Buňuel nel Labirinto delle Tartarughe del cineasta spagnolo Salvador Simó: la recensione di Marina

Buňuel nel Labirinto delle Tartarughe è l’ultimo lungometraggio del cineasta spagnolo Salvador Simó, vincitore, nel 2019, dell’EFA al Miglior Film d’Animazione.

Se pensiamo al cinema d’animazione europeo, indubbiamente non possiamo che constatare che, attualmente, è la Francia a produrre i lavori più interessanti e maggiormente ricercati. Eppure, a ben guardare, anche la Spagna, dal canto suo – e pur non vantando una tradizione così importante nel campo – di piccoli gioiellini ne ha sfornati eccome. Se, infatti, torniamo con la mente a pochi anni fa (e, nello specifico, al 2011) non possiamo non ricordare il bellissimo e struggente Arrugas – Rughe, per la regia di Ignacio Ferreras.

E Salvador Simó, dal canto suo, non è stato da meno. Con una predilezione per immagini bidimensionali, dai contorni sottili ma decisi e dai dettagli studiati e curatissimi (in cui si può chiaramente notare l’influenza della cinematografia giapponese, con cui il regista vanta diversi anni di collaborazione), Buňuel nel Labirinto delle Tartarughe mette in scena un importante capitolo della vita del celebre cineasta Luis Buňuel. Periodo in cui il maestro del surrealismo – qui agli inizi della propria carriera – dopo aver sollevato le critiche del mondo fascista e clericale in seguito alla diffusione del suo L’Âge d’Or (1930), decide di distaccarsi dal suo storico collaboratore Salvador Dalì per girare un documentario, al fine di ottenere maggiori consensi di pubblico. La svolta avviene nel momento in cui il suo amico Ramon Acin vince 150.000 pesetas alla lotteria e decide, pertanto, di finanziare un nuovo, entusiasmante progetto. E così, durante un lungo viaggio non privo di imprevisti, una piccola troupe capitanata proprio da Buňuel, partirà alla volta di un piccolo paesino dell’entroterra, al fine di dar vita al bellissimo documentario Las Hurdas – Terra senza Pane.

Siamo d’accordo: nel momento in cui ci si approccia a un cineasta del calibro di Luis Buňuel, i rischi di andare fuori strada sono più che mai elevati, soprattutto per quanto riguarda l’approccio registico stesso che il cineasta ha a suo tempo adottato con il suo singolare modo di fare cinema. Eppure, fortunatamente, Salvador Simó è riuscito a evitare ogni pericolosa retorica, conferendo a questo suo Buňuel nel Labirinto delle Tartarughe una propria marcata personalità.

Non mancano, all’interno del presente lungometraggio, momenti estremamente surreali e onirici. E se, tutt’a un tratto, capita di ritrovarsi all’interno del dipinto Sera sul Viale Karl Johan di Edvard Munch (1892) o di incontrare strani elefanti che tanto stanno a ricordarci i dipinti di Salvador Dalì, ecco che, improvvisamente, veniamo riportati in un mondo molto più reale. Un mondo che, a tratti, ci appare estremamente ruvido, in cui la realtà può fare molto, molto male (come, ad esempio, quando ci è dato di vedere una bambina morente sul ciglio di una strada), ma che, proprio per come viene descritto – ulteriormente arricchito da brevi spezzoni tratti dal lavoro originale di Buňuel – ci appare più che mai vero, vivo e pulsante.

Tutto questo – e molto altro – è presente in Buňuel nel Labirinto delle Tartarughe. Una vera e propria perla proveniente direttamente dalla Spagna da non lasciarsi sfuggire per alcun motivo.

Marina Pavido

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