SPECIALE #ROMAFILMFEST14 #4 – 17 /27 OTTOBRE 2019: (DAYS 2&3): le recensioni #2 di Francesca Salmeri

(da Roma Luigi Noera con la gentile collaborazione di Francesca Salmeri- Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Fondazione Cinema per Roma)

Nel fine settimana  Scary Stories cerca di impaurire il pubblico!

Cominciamo dalla SELEZIONE UFFICIALE

Scary Stories to Tell in the Dark di André Øvredal Canada, Stati Uniti, 2019, 108′ Cast Zoe Colletti, Michael Garza, Gabriel Rush, Austin Abrams, Dean Norris, Gil Bellows, Lorraine Toussaint

Tratto dall’omonima serie di libri di Alvin Schwartz, Scary stories to tell in the Dark è un’interessante rielaborazione del classico ghost story. In un periodo in cui la cinematografia sta dando tanto al genere horror cercando di avvicinarvi anche il pubblico più scettico, il film risulta ben riuscito, dosato ed interessante.

Trascinando con sé le atmosfere macabre del genere, senza finire in una possibile quanto malaugurata banalità, il racconto si articola ben sciolto tramite una serie di immagini dalla tensione particolarmente efficace.

Il cast, formato per lo più da giovanissimi attori, svolge bene il proprio ruolo risultando convincente e capace di trasmettere emozioni miste e dagli sviluppi interessanti. Le aspirazioni del film si comprendono già all’inizio, ed una volta colte circostanze e punti di svolta dell’intreccio, si accettano ben volentieri i compromessi richiesti dal genere proposto.

Non mancano piccole idee originali che condiscono il tutto spezzando il tono cupo del racconto, portando lo spettatore a riflettere. L’orrore è davvero parte del soprannaturale? O forse i mostri che escono dal buio sono meno pericolosi di quelli che già e da sempre fanno parte della realtà? Così André Øvredal coglie l’occasione di proporre una critica sociale che invece di appesantire il film quasi lo alleggerisce, arricchendolo in profondità e permettendogli di portare avanti la propria tensione senza che questa debba per forza arrivare ad implodere nel genere horror, ma al contrario possa invadere l’emotività dello spettatore. Il movimento è duplice, tramite le caratteristiche dell’horror si riposano gli occhi rispetto alla pesantezza di alcuni argomenti di una certa importanza politica e sociale; tramite i suddetti argomenti si riposano gli occhi rispetto ad un genere che esteticamente attrae ma a volte rischia di annoiare in una mancanza di riflessioni – cosa che in questo caso non accade.

Willow di Milcho Manchevski Macedonia, Ungheraia, Belgio, Albania, 2019, 101′ Cast Sara Klimoska, Natalija Teodosieva, Kamka Tocinovski, Nikola Risteski, Nenad Nacev, Petar Caranovic, Ratka Radmanovic, Petar Mircevski

Al centro del drammatico racconto del regista macedone Milcho Manchevski è la figura della donna, in quanto madre o aspirante tale. Il piano narrativo è triplice e segue le vicende di tre donne nel loro tentativo, tutt’altro che semplice, di diventare madri. Le lunghe scene iniziali raccontano la storia di una coppia macedone intenta a farsi aiutare da un’anziana donna, che forse riuscirà a donare loro il figlio tanto sperato. La solitudine umana fa capolino accanto ai sentimenti più forti, la solitudine, l’amore, l’unione, la paura. Il tempo cambia, in mezzo alla città un tassista investe un uomo, è l’occasione per mettere in pratica l’onestà che lo caratterizza, dettaglio che fa innamorare di lui Rodna, una giovane donna –  interpretata magistralmente dalla giovanissima Sara Klimoska. È tramite questo secondo personaggio femminile che incontriamo il terzo, la sorella di Rodna, anche lei madre da poco, di un bambino di cinque anni che ha appena adottato insieme al compagno.

Aldilà della maternità, nodo concettuale intorno al quale gira l’intero film, Willow è un racconto che parla di forza e di scelte e lo fa al femminile, raccontando la storia di tre donne che non sono forti perché madri, ma perché impaurite e terrorizzate dalla possibilità di non riuscire ad esserlo, scoprono nelle proprie personalità ciò che davvero le rende e le renderà dei genitori migliori: come l’imprudenza di lasciare il volante della propria macchina in mano ad un bambino di cinque anni.

 

Invece dalla selezione di Alice nella Città ed in particolare per PANORAMA ITALIA il film Mollami Matteo Gentiloni Italia, 2019, 81 Con Alessandro Sperduti, Mariachiara Giannetta, Gianmarco Tognazzi, Caterina Guzzanti, Martina Gatt

Non è una novità che il cinema italiano sia un cinema tutto dedito all’emotivo e forse Mollami ne è solo un piccolo esempio. Tuttavia la visione della chicca di Matteo Gentiloni lascia piacevolmente stupiti nei suoi piccoli accorgimenti estetici, sposati ad una leggera lettura ironica del tutto che alleggerisce gli argomenti difficili e complessi che il film cerca di affrontare. L’espediente narrativo, quello di una tragedia famigliare, passa in secondo piano rispetto alla capacità di raccontare una storia che seppur triste, viene trasmessa nel più dolce dei modi. Il rischio di finire in una frivolezza eccessiva c’è, ma il racconto rimane fedele alla sua scelta stilistica e ci ricorda quanto il poco fatto bene sia sempre da preferirsi rispetto ad un troppo che avrebbe potuto non raggiungere gli stessi risultati. La voce di Neri Marcorè, nella figura più originale del film cioè quella del “mostro” che altro non è se non un bagaglio emotivo importante, accompagna la narrazione arricchendo la pellicola con delicatezza e contenuto. Una grande interpretazione dei giovani attori,  che riescono a rimanere fedeli ai loro personaggi senza smettere di essere convincenti. Un film adatto ai giovani ai quali è dedicato ma che non si mancherebbe di consigliare a tanti papà e tante mamme che potrebbero durante la visione riscoprire il loro ruolo non tanto in quanto genitori ma quanto in esseri umani.

Francesca Salmeri

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