Due grandi attori per un grande film attesissimo di un grande regista: THE POST

Nelle sale italiane dal 1° febbraio, The Post è l’ultimo lungometraggio diretto dal celeberrimo Steven Spielberg.

Siamo nel 1971. The Washington Post è ancora un quotidiano locale e alla sua guida c’è Katherine Graham, successa al marito morto suicida, mentre Ben Bradlee, invece, è il severo direttore. Nel momento in cui vengono a galla, tramite fonti ufficiose, importanti segreti governativi riguardanti la Guerra del Vietnam, i due dovranno decidere se pubblicare o meno il tutto sul giornale, mettendosi contro le istituzioni e rischiando di perdere il lavoro, ma salvaguardando allo stesso tempo, la libertà di stampa.

C’è poco da fare: quando viene fatto un nome come quello di Steven Spielberg, si ha (quasi) sempre la certezza di stare per assistere a qualcosa di memorabile. E anche questa volta, nel raccontare un’importante episodio della storia degli Stati Uniti, il cineasta americano è riuscito a mettere in scena un prodotto di tutto rispetto, maestoso nella sua confezione, impeccabile nella regia e con un cast di attori – Tom Hanks, suo attore-feticcio, e la grande Meryl Streep in primis – che ben riesce a reggere l’intera durata del lungometraggio.

Sono ritmi serrati, insieme a non pochi attimi di suspense, a far sì che l’intero lavoro non perda mai di tono per tutta la sua durata. E poi c’è lei, la splendida Meryl Streep nel ruolo della protagonista, che, perfettamente valorizzata dal maestro Spielberg, riesce a dar vita ad un personaggio memorabile. Particolarmente degno di nota, a tal proposito, è il momento in cui la donna, al telefono, ancora titubante decide di far pubblicare tutte le informazioni e, al contempo, la macchina da presa stringe l’inquadratura sul suo volto.

L’unica cosa che ad un lungometraggio come The Post si può rimproverare è quella pericolosa retorica che caratterizza gran parte delle produzioni hollywoodiane, in cui un lieto fine viene accompagnato da una musica pericolosamente autocelebrativa. Una – se vogliamo – caduta di stile del genere, a quanto pare, non riesce ad evitarla nemmeno il nostro Steven. Ma, si sa, Spielberg è pur sempre Spielberg e gli si perdona (quasi) tutto.

Marina Pavido

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