SPECIALE #OSCAR 2017 #2 – Arrival di Denis Villeneuve, Canada 2016 , 116’ – la recensione di Simona Noera

ARRIVAL

Prima di cimentarsi nel sequel di Blade Runner in uscita il prossimo autunno, il regista canadese Denis Villeneuve ha presentato all’ultima Mostra cinematografica di Venezia il suo più recente lavoro, Arrival, uscito da poco nelle sale.
Film dalla trama fantascientifica, apoteosi dell’ “Omnia vincit amor” come palingenesi di umanità comunicativa ormai perduta, è arrivato a collezionare ben otto candidature Oscar.

Ma andiamo con ordine, la trama prende spunto dal pluripremiato racconto di Ted Chiang “Storia della tua vita” e ne ricalca piuttosto fedelmente le dinamiche. Il film non esce molto dal cliché di storia fantascientifica tipicamente hollywoodiana,  in cui il solito mondo contemporaneo viene improvvisamente messo in crisi dall’inconfondibile incursione aliena, in questo caso l’atterraggio di dodici monoliti che penetrano il nostro pianeta piazzandosi silenziosamente in punti geopoliticamente strategici, tra la concitazione delle varie potenze mondiali che si affannano con azioni pirotecniche – ben amplificate dall’onnipresente cospetto dei media – nel racimolare al più presto possibile un gruppo di esperti traduttori capace di compiere la missione esplorativa degli strani oggetti che sospesi sovrastano la nostra civiltà, cercando un contatto nell’incomunicabilità con gli esseri enigmatici che si celano al loro interno.
Monoliti che richiamano quello di 2001 Odissea nello spazio, un’arcana trama che connette i più reconditi istinti primordiali, il senso della nostra vita e la curiosità insoddisfatta di una scatola chiusa di cui non si conosce il contenuto. L’emozione e il fremito scatenato dall’ignoto, oscuro oggetto del desiderio come in Bella di giorno di Buñuel.
Ciò che sicuramente occupa più di tutto spazio in questo film è decisamente la colonna sonora composta da suoni avvolgenti, quasi sinestetici che richiamano al mondo onirico dei sogni e dell’interiorità umana più profonda, per quanto sembrino dare corpo all’oscurità dell’entità aliena caratterizzata nel film dai due Eptapodi, protagonisti e unici  comunicanti della loro razza con la nostra. E probabilmente senza dei suoni così ben adeguati, il film avrebbe perso ogni parvenza di serietà. Le scene sono comunque lunghe, forse anche si protraggono troppo in certi casi, come piccoli escamotage pubblicitari per mantenere la suspense nello spettatore, ma che alla fine lasciano troppo tempo alla riflessione rischiando di far perdere il ritmo. L’unica incredulità resta quasi alla fine, quando ci si inizia a rendere conto che per una volta gli alieni non vengono a distruggerci bensì a condividere quel  mutuo soccorso comunicativo che rende liberi dalla fissità della linea temporale diacronica che caratterizza il nostro pensiero e che in futuro salverà entrambe le civiltà, aliena e umana.

La linguista Louise (Amy Adams), eroina principale con in mano le redini di tutta la vicenda spiega infine il vero senso di quel che sta accadendo e rivolgendosi al suo collega, chiede: “Ian, se potessi vedere la tua vita dall’inizio alla fine, capiresti qualcosa?”

Simona Noera

 

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