Speciale 73esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica – sabato 3 e domenica 4 settembre (DAYS 4&5):

Mentre Paolo Sorrentino e Jude Law entusiasmano il red carpet e Ozon  ci fa riflettere sulla guerra, i riflettori sono puntati sul nuovo cinema italiano documentaristico di D’Anolfi e Parenti

dal Lido di Venezia Luigi Noera – Foto per gentile concessione della Biennale. Nel fine settimana grande attesa per il primo film degli italiani in concorso, il documentario di D’Anolfi e Parenti, ma anche i primi due episodi della nuova serie Tv firmata dal premio Oscar Sorrentino. Ma andiamo con ordine, sabato è stata la volta del primo francese François Ozon in concorso a   VENEZIA 73 con Frantz . Uno sguardo

diverso sui rapporti tra i popoli dell’Europa da poco dilaniata dalla Grande Guerra. Rimorsi, difficoltà al perdono, non rendersi ancora conto delle parole come Patria che tanti lutti ha provocato. Come detto da Barbera molti dei film di questa edizione sono tratti dall’arte dello scrivere e infatti molte pellicole di questa edizione lo sono. In questo caso si tratta di una piece teatrale al quale ha attinto anche Lubitsch per parlare della Grande Guerra. Intervistato al proposito Ozon ha ammesso di aver scoperto successivamente l’anologia con l’opera di  Lubitsch.  E’ una storia all’incontrario dove il vincitore chiede perdono al vinto. Il regista ha utilizzato sapientemente il bianco e nero per virare in alcune parti al colore, aggiungiamo

forse troppe volte. Eccezionale l’interpretazione sia del protagonista maschile che della giovane vedova bianca. Il regista ha aggiunto: per me è stato molto importante raccontare questa storia dal punto di vista tedesco, dalla parte dei perdenti, attraverso gli occhi di coloro che furono umiliati dal Trattato di Versailles, in modo da poter illustrare come la Germania di quel tempo fosse terreno fertile per la diffusione del nazionalismo. Girato in Europa anche il Western dell’olandese Martin Koolhoven che con il suo Brimstone  

racconta una storia di violenza nel West americano. L’opera è suddivisa in capitoli con una somiglianza all’ultimo film di Tarantino dal quale prende a piene mani, raccontando però una storia tutta al femminile. Si potrebbe definire un thriller western con un finale da capogiro nel quale tutto è il contrario di tutto. C’è il sapiente dosaggio di empatia verso il cattivo, ma soprattutto un incoraggiamento verso l’eroina Litz. Qualcuno ha detto che è un film sulla religione e sulla violenza, direi piuttosto sulla violenza che strumentalmente si copre sotto una patina di pseduo religiosità. Secondo l’autore ogni regista di cinema adora i Western, ma è difficile creare qualcosa di originale con un genere che vanta così tanti e grandi predecessori. Per questo motivo sono passati anni, prima che trovasse il coraggio di scriverne uno. Lo voleva originale e diciamo che non è così ma olandese invece si! Nella stessa giornata di domenica il red carpet ha visto ospiti FUORI CONCORSO l’autore Paolo Sorrentino e il protagonista Jude Law di The Young Pope (episodi I e II). Storia

fantasiosa di un altrettanto fantasioso Lenny Belardo, alias Pio XIII, il primo papa americano della storia che giunge sul soglio Pontificio. Purtroppo alle scene di matrice felliniana che ritroviamo spesso in Sorrentino si accostano dei facili luoghi comuni ed il risultato sono gli alti ed i bassi della pellicola d’autore pensata per il piccolo schermo. L’interpretazione di Silvio Orlando invece ne conferma un grande artista napoletano e lo vediamo muoversi agevolmente nei panni del Segretario di Stato a contrastare il vento nuovo del giovane Papa. Riportiamo cosa ha mosso Sorrentino in questa difficile impresa: I segni evidenti dell’esistenza di Dio. I segni evidenti dell’assenza di Dio. Come si cerca la fede e come si perde la fede. La grandezza della santità, così grande da ritenerla insopportabile. Quando si combattono le tentazioni e quando non si può fare altro che cedervi. Il duello interiore tra le alte responsabilità del capo della Chiesa cattolica e le miserie del semplice uomo che il destino (o lo spirito santo) ha voluto come pontefice. E’ storico invece Miljeong (The Age of Shadows) del coreano  

Kim Jeewoon . Anche in Asia la storia della resistenza per la patria è fonte di ispirazione degli autori cinematografici. La messinscena risente della spettacolarità del cinema sudcoreano e della precisione di ogni dettaglio. Una produzione che non ha badato a spese ed il risultato si vede. Siamo alla fine degli anni venti durante l’occupazione giapponese della Corea. A confronto due coreani che però combattono per ideali opposti Lee Jung chool, coreano agente nella polizia giapponese,  e  Kim Woo jin capo della resistenza. Il regista  confessa che tutto è partito dalla sua attrazione per i film di spionaggio. Miljeong è una drammatizzazione dell’attentato dinamitardo commesso da Hwang Ok ai danni di un comando di polizia nel 1923, durante l’era coloniale giapponese. “Volevo pervadere il film dell’emozione che provavo quando leggevo delle lotte dei combattenti per l’indipendenza, che si adoperavano per riscattare lo spirito delle persone che avevano perso il loro paese”.

Ci domandiamo perché non è stato selezionato in concorso. Nella selezione ORIZZONTI invece due film dal Belgio, il primo attualissimo sul rapporto degli adulti nei confronti di una adolescenza priva di ideali che si trasforma in noia e violenza per scaricare l’adrenalina. Si tratta di Home di Fien Troch che racconta appunto di due generazioni in conflitto. L’arrivo di un giovane diciassettenne uscito dalla casa di correzione provoca la rottura dei delicati (direi insulsi) equilibri familiari. Ma c’è anche  il rapporto insano di una madre single con John il suo unico figlio. La tragedia incombe sullo spettatore che improvvisamente si ritrova inorridito a fare i conti con la propria coscienza di genitore. E se fosse successo a me? Come spiega l’autore,  con Home ho scelto di girare un film corale,

perché volevo ritrarre sia una generazione, sia una comunità. Il secondo è un documentario fuori dai canoni King of the Belgians di Peter Brosens, Jessica Woodworth parla di Re Nicola III del Belgio in un road movie in cui un re apatico, perduto nei Balcani, finalmente riesce a destarsi. L’idea ai registi è nata dopo l’eruzione di un vulcano islandese. Con i seguenti ingredienti: un re belga in visita ufficiale a Istanbul, un evento naturale inatteso, una crisi politica e il resto è appunto un viaggio di ritorno via terra, tra ostacoli, rese dei conti e rivelazioni finali. In altre parole: spiazzamento come essenza della commedia. Grazie alla lente del regista inglese Duncan Lloyd che ha filmato la visita e che diventa il solo e unico occhio che ci mostra sei giorni straordinari.  In questo fine settimana anche i Venice Days non hanno deluso con l’opera prima POLINA, DANSER SA VIE dai francesi Valérie 

Müller e Angelin Preljocaj. Al di là della storia è un inno alla danza attraverso la passione e l’amore della giovane Polina per l’arte. Ritroviamo una fresca Juliette Binoche nella parte di una inflessibile e straordinaria direttrice di un istituto di danza, ma anche il maestro Bojinski interpretato da Aleksey Guskov ( chi non ricorda The Concert?) che insieme alle due giovani romesse della regia mettono insieme un puzzle di emozioni oltre la danza. Ispirato alla graphic novel di Bastien Vives, «il viaggio di Polina – dicono gli autori – è tanto un’avventura fisica ed emotiva quanto un percorso di crescita artistica».
 

Nella giornata di sabato si è svolta CERIMONIA DI PREMIAZIONE DEL DWA – DOC/IT WOMEN AWARD con l’annuncio della vincitrice e le finaliste del PREMIO OSPITI DELLE GIORNATE DEGLI AUTORI – VENICE DAYSHa vinto il DWA il progetto Rhapsodyin June di Barbara Andriano e Guendalina di Marco una produzione Filmika. Il progetto racconta la vita rocambolesca dell’ultima principessa di Birmania. Yadana Nat May, Maria Lucia Postiglione, June Rose Bellamy. Tre nomi diversi che raccontano la vita di una donna sui generis dal fascino senza tempo. Volitiva e coraggiosa ha vissuto all’insegna del “carpe diem” e del suo smodato bisogno di libertà.  Ultima principessa della dinastia reale Birmana, dotata di una disarmante bellezza, è stata moglie di un malariologo napoletano, compagna di un mossiere senese e sposa del feroce Ne Win, dittatore della Birmania. Sullo sfondo l’affresco di un paese che ha cambiato volto, un discusso matrimonio e infine la cucina come seconda possibilità per una nuova vita.Sono stati ben 64 i progetti arrivati e sottoposti alla giuria presieduta da Agnese Fontana – Presidente di Doc/it, affiancata da Sherin Salvetti, General Manager di A+E Networks Italy, Iole Giannattasio – Rappresentante italiana di Eurimages, Paolo Butturini, Segreteria Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Giuliana Gamba, Giornate degli Autori, Venice Days. Cristina Priarone, Direttore Roma Lazio Film Commission.“Siamo molto felici di questa prima edizione del DWA – dichiara Agnese Fontana, Presidente di Doc/it – che ha avuto grandissima partecipazione e ha dato la possibilità alle finaliste di presentare il proprio progetto a Venezia all’interno delle Giornate degli Autori. Insieme ai nostri partner lavoriamo affinché questo premio sia un’occasione professionale vera di visibilità e di incontro con il mercato. DWA è una proposta concreta per favorire lo sviluppo di progetti documentari con una pluralità di racconto volta alla creazione di un fondo per lo sviluppo a lungo termine”.Gli altri progetti finalisti del DWA sono: A Kurdish Women’s Dream di Giulia Bertoluzzi, Costanza Spocci e Eleonora Vio, una produzione Small Boss e Nawart Press, Almost Nothing _ Cern. A social experiment di Anna de Manincor (ZimmerFrei), Anna Rispoli, una produzione Bo Film, Uncut di Simona Ghizzoni e Emanuela Zuccalà una produzione Zona e Voglio una ruota di Antonella Bianco, una produzioneGamera.
 

Nella giornata di domenica invece per VENEZIA 73 l’attesissimo Spira mirabilis di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti. Purtroppo le aspettative non sono state confermate ed alla proiezione stampa si sono avute notevoli defezioni man mano che le immagini scorrevano sullo schermo. La domanda che viene spontanea è come mai sia stato scelto questo doc a scapito di altri come ad esempio uno per tutti Francesco Munzi il quale, anche se di casa a Venezia, non è tenuto nel giusto conto ma è stato relegato nella selezione Fuori Concorso (sic!). Invece amabilissimo il film argentino in concorso El ciudadano ilustre di Mariano Cohn e Gastón Duprat. Anche in questo caso tratto da un

lavoro dello  scrittore argentino Daniel Mantovani che vive in Europa da trent’anni e Premio Nobel per la letteratura. Da uno dei suoi romanzi sulla vita di Salas, paesino in cui è cresciuto e dove non è mai più tornato da quando era ragazzo. Da un lato il desiderio di tornare una volta alla terra natia, dall’altro differenze che lo trasformeranno rapidamente in un elemento estraneo e di disturbo per la vita del paese. Sono tante le scene esileranti e grottesche che ne fanno un capolavoro da premiare. A dire degli autori il film salda il debito per mezzo del protagonista Mantovani, che ottiene il premio che fu per anni negato a Jorge Luis Borges. Domenica è stata poi la giornata dell’epopea del primo soldato obiettore di

coscienza dell’esercito degli Stati Uniti. Parliamo del film FUORI CONCORSO Hacksaw Ridge di Mel Gibsonstoria vera di Desmond Doss che, a Okinawa, durante una delle più cruente battaglie della seconda guerra mondiale, salvò 75 uomini senza sparare un solo colpo. Il film purtroppo sconta un certo tipo di spettacolarizzazione hollywoodiana con effetti speciali da nmal di pancia e in taluni casi esagerati anche nella durata. Lunedì aspettiamo il responso della sala per il secondo italiano in gara: Piuma di Roan Johnson.

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