SPECIAL #VENEDIG78 #15 – 1.11. SEPTEMBER 2021: (DAY9) le recensioni di Maria Vittoria Battaglia

(da Venezia Luigi Noera con la gentile collaborazione di Marina Pavido e Annamaria Stramondo e dalla sala WEB Maria Vittoria Battaglia – Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Biennale)

La grande avventura emozionale della sezione autonoma GdA

El otro Tom, di Rodrigo Plà (Horizons) 3,5/5

Questa è la storia di Tom, bambino ADHD di 9 anni e dell’altro Tom, bambino sotto psicofarmaci che riesce a tenere sotto controllo quegli aspetti del disturbo del comportamento che lo rendevano insopportabile e a farsi, dann, accettare dagli altri.

Attacchi d’ira, noia, insonnia, iperattività, deficit di attenzione: tutto ciò si risolve quando Tom inizia la cura farmacologica.

Ma poi un incidente, forse un tentato suicidio, convince la madre che gli psicofarmaci stiano creando un altro Tom, certamente più buono ma anche più spento e depresso.

Forte della sua convinzione Elena, la madre, comincerà una lotta senza fine contro la scuola e contro i servizi sociali nel tentativo di difendere il diritto di Tom a una cura diversa.

der Film, ein wenig’ dispersiv, non ci racconta come finisce questa lotta. Quello che ci racconta, aber, è la battaglia di una madre che non è disposta a sedare il figlio per curargli l’iperattività; la lotta di una madre contro una scuola che si vanta di offrire strumenti all’avanguardia per la gestione di casi difficili ma si limita a isolare in classi speciali i ragazzi con disturbi del comportamento, privandoli di tutti quegli stimoli di cui invece avrebbero bisogno.

Ci racconta la rabbia di una madre che deve lottare contro i pregiudiziche vengono sempre dagli adulti e mai dai compagnetti di Tome di un bambino che viene insultato e chiamato pazzo.

Ci racconta di questo principio fondamentalmente sbagliato che vuole somministrare a dei bambini con disturbi del comportamento degli psicofarmaci ma non offre alcun supporto psicologico, tantomeno alcuna attività per fare star meglio questi ragazziche hanno bisogno di stimoli per scaricare tale energia in eccesso per non trasformarla in rabbia e frustrazione.

Il film racconta tutto questo e tramite le espressioni, a volte stanche e tristi, a volte fiere e energiche di Elena invita lo spettatore a una riflessione più ampia e ad una maggiore consapevolezza.

Mama, I’m home di Vladimir Bitokov (Orizzonti Extra) 3,5/5

Thriller drammatico che vede una donna russa fare i conti con il lutto più traumatico, la morte del figlio in Siria.

Tonya non si rassegna e inizia ad indagare sulla scomparsa del figlio senza supporto alcuno, scontrandosi con una fredda e cinica burocrazia.

einmal, tornando a casa, incontra il figlio scomparso: lei però è convinta che non sia lui e la lotta dunque continua.

Sicuramente intrigante ed enigmatico, a tratti ironico e grottesco, Mama I’m Home si perde in troppi dettagli non chiariti e scene sconnesse.

Comunque una piacevole visione, al netto dei tanti -troppi- buchi di trama.

Princesa, di Stefania Muresu (GdA) 2,5/5

Princesa è un breve documentario sulla vita di una giovane nigeriana vittima di tratta di esseri umani e costretta alla prostituzione.

Interessante la costruzione del film, quasi esclusivamente in bianco e nero, che alterna primi piani della protagonista a immagini di repertorio dell’istituto Luce su riti e cerimonie in Africa e nel sud Italia.

Tale scelta, se da una parte è assai eloquente, mettendo in luce lo stretto legame che vi è tra la prostituzione di immigrate nigeriane e i rituali animistici (come quello dello juju), finisce con il penalizzare il documentario rendendolo estremamente frammentario e facendogli perdere qualsiasi ritmo narrativo ed espositivo.

L’elemento folkloristico e animistico diventa dominante, in modo eccessivo, e della storia della nostra protagonista si perde qualsiasi traccia.

Les enfants de Caín, di Keti Stamo (GdA) 5/5

In alcune zone ell’Albania vige ancora il Kanun, antico codice che prevede la vendetta di sangue: in caso di omicidio, la famiglia del defunto può uccidere un componente dell’altra famigliain teoria donne e bambini sono protetti dal codice ma le persone intervistate ci mettono subito al corrente del fatto che nella realtà nessuno si salva.

E così intere famiglie si trovano costrette a vivere chiuse in casache per il Kanun è luogo inviolabile. La vendetta si tramanda di generazione in generazione, è una storia senza fine.

Il film si concentra sull’attività di una fondazione che cerca di dare una prospettiva diversafosse anche solo una boccata d’aria frescaai bambini di queste famiglie prendendoli con un furgone a casa e scortandoli via dal luogo ogni giorno.

I ragazzi, una volta al sicuro, interagiscono, discutono cercando di costruirsi un loro spazio, una loro opinione e la loro stessa identità.

offensichtlich, data la loro provenienza, è di facile intuizione l’analogia con il racconto biblico di Abele e Caino: i ragazzi ragionano, con incredibile ricchezza e varietà di opinioni, sui concetto di vendetta, di punizione e di perdono, chiedendosi cosa avrebbero fatto se fossero stati al posto di Dio.

È un documentario incredibilmente commovente, che non si limita ad essere interessante ma viene anche reso bello da una attenta fotografia capace di sottolineare tutto lo spettro emotivo dei ragazziemblematico il contrasto tra l’arido del villaggio in cui sono rinchiusi e la varietà ambientale e cromatica del sogno collettivo in cui si sono rifugiatie da una delicata colonna sonora.

Io non posso cambiare il mondo, ma posso cambiare il sogno.

Perdonare Abele e Caino e tutti gli Abele e i Caino che verranno.

Se liberiamo loro, liberiamo noi stessi.

Perdonami.

Imaculat, di Monica Stan e George Chiper-Lillemark (GDA) 4,5/5

Racconto che parte dalle vicende biografiche della regista, Imaculat narra di Daria, giovane adolescente rumena ricoverata in un centro di riabilitazione per disintossicarsi dall’eroina.

Il bianco come colore dominante, i primi piani su volti centrati e le inquadrature di lunghi corridoi bianchi in prospettiva centrale richiamano alla mente follia e disturbo. Ma se in Imaculat di follia c’è ne è ben poca, l’elemento disturbante è protagonista.

Non appena Daria entra nella clinica la dipendenza dalla droga diventa secondaria, lasciando il posto ad un’altra dipendenza, quella dagli altri: il contatto fisico, tattile innanzitutto è dominante in tutto il film, in cui i pazienti si toccano, umarmen, giocano a perquisirsi e si baciano continuamente le mani. E’ un contatto estremo, totalizzante, altamente disturbante che segna una necessaria dipendenza che ogni paziente ha dell’altro, non nell’avere neessità ma nel sentirsi necessario. E’ questo desiderio di essere desideratobase di ogni legamespinge la protagonista a instaurare relazioni effimere e a quelle promesse non mantenute che scandiscono il tempo di tutto il film.

Maria Vittoria Battaglia

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