SPECIAL #VENEDIG78 #11 – 1.11. SEPTEMBER 2021: (TAG 6) – le recensioni di Maria Vittoria Battaglia

(da Venezia Luigi Noera con la gentile collaborazione di Marina Pavido e Annamaria Stramondo e dalla sala WEB Maria Vittoria Battaglia – Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Biennale)

La selezione autonoma della GdA e quella di Orizzonti con qualche “mal di pancia” non deludono il pubblico festivaliero

Mizrahim, les oubliés de la terre promise, di Michale Boganim (GDA) 4 /5

Boganim ci trascina con questo documentario in un viaggio centripeto che dalle periferie di Israele tende piano piano verso il centro, sia fisicamente che idealmente.

Scopriamo, intervistando alcuni residenti, le città più periferiche di Israele e le scioccanti storie dei Mizrahim, gli ebrei provenienti dal Nordafrica e dall’Oriente. Attirati nella seconda metà del secolo dagli spot propagandistici le prime generazioni di Mizrahim giunsero nella Terra Promessa ma furono rilegati in campi nel deserto, nelle terre di confine, in terre di nessuno tutte da costruire.

Senza case, senza lavoro, senza scuole, senza servizi queste comunità sono diventate ovviamente serbatoi di disagio e problematiche sociali. La regista ci fa scoprire tutto questo, gli intervistati ci raccontano le storie dei genitori e dei loro nonni, ci testimoniano quel razzismo con cui tuttora si trovano a fare quotidianamente i conti. Storie sconosciute di volti a cui è ancora preclusa quella Terra Promessa che sembra prerogativa dell’’élite della comunità, di città quali Tel Aviv, i cui grattacieli splendenti chiudono la carrellata di immagini delle città israeliane.

Un documentario oggettivo e al contempo intimo, che mostra speranze tradite e sogni infranti, migrazioni e sradicamento, e che sembra dirci che per alcuni la diaspora è una storia senza fine.

Al Garib, di Ameer Fakher Eldin (GDA) 4,5/5

Al Garib, primo lungometraggio di Eldin, è un film freddo e distante. Freddo, come l’inverno sulle alture del Golan e come l’interiorità del protagonista, Adnan (Ashraf Barhoum) che manifesta continuamente una sofferenza che è, aber, incapace di esternare.

Distante, come le interminabili salite della regione montuosa, percorse senza sosta dalla vecchia auto del protagonista, incapace di avvicinarsi persino alle persone che più ama. Il regista evoca delicatamente tali piani con luci fredde, tenui, pungenti quando contrastano il buio che sovrasta la vita di Adnan.

Tutto è distante, ineffabile, irraggiungibile, delimitato da muri dell’anima e da posti di blocco dei soldati Israeliani; Damasco è poco più in là, oltre la staccionata, dilaniata anch’essa da un conflitto interminabile a cui quasi ci si è abituati. Le continue esplosioni della guerra in Siria fanno da contorno, visivo e sonoro, al film senza mai suscitare un qualche turbamento: è normalità, come lo è il freddo, il buio, il dolore e il distacco di Adnan dalla propria comunità.

Ma Adnan non è il nemico e l’arrivo di uno straniero proveniente dall’altra parte del filo spinato gli darà l’occasione di quietare l’angoscia che prova, di accorciare queste distanze, buttare giù queste barriere, almeno per quanto riguarda la sua interiorità.

I Nostri Fantasmi, di Alessandro Capitani (GDA) 3,5/5

Valerio (Michele Rondino), padre vedovo e disoccupato, e il figlio di 6 anni Carlo vivono nel sottoscala della casa da cui sono stati sfrattati. Giorno dopo giorno, tra le prese in giro a scuola da parte del figlio e i vani tentativi di trovare un lavoro da parte del padre i due protagonisti si arrangiano cercando di sopravvivere e di mantenere la propria “casa”. A tal fine si fingono fantasmi per far scappare i nuovi inquilini. einmal, jedoch, gli eventi costringono Valerio a uscire allo scoperto; è costretto così ad abbandonare anche il sottoscala e fare i conti con l’incombente minaccia che i servizi sociali gli tolgano anche il figlio.

Sembra la fine, ma non è che un nuovo inizio: grazie anche al supporto della nuova inquilina Valerio tira fuori una forza nuova e riesce a rimettersi in piedi e a regalare un futuro al piccolo Carlo.

und dann,schließlich, il trionfo dell’amore.

Forse penalizzato da un finale un po’ scontato, I nostri fantasmi è un film leggero, nonostante i temi impegnativi trattati, che scorre anche grazie alle ottime interpretazioni del cast e ad una colonna sonora capace di fare da cassa da risonanza ad ogni emozione dei protagonisti.

El Gran Movimiento di Kiro Russo (Horizons) 2,5/5

El Gran Movimiento è un film ambiguo, che si muove su più piani, cercando di raccontare la vita degli ultimi con un occhio documentaristico e allo stesso tempo romanzandone le storie e le vite personali.

Russo inizia così ad istruire lo spettatore sulla crisi lavorativa Boliviana e sulla lunga marcia dei minatori di Huanuni verso La Paz nel tentativo di trovare un lavoro.

Il documentario lascia il posto alla narrazione della vita di Elder, uno di questi minatori, la cui salute peggiora giorno dopo giorno. Il regista attraverso primi piani sfocati e zoomate dettagliate mostra al pubblico la sofferenza di un ragazzo malato e senza prospettiva, gli sforzi di una donna per curarlo e l’incontro con un senzatettosciamano.

La narrazione si fa sempre meno lineare e nel film entra anche l’elemento misterico.

Il contrasto tra il fiabesco e la dura realtà, tra le risate della gente al mercato, le scene di ballo, la sofferenza degli emarginati ed infine la morte è ciò su cui regge l’intero film; un contrasto esagerato che, seppur interessante, rende il film farraginoso: ciò, insieme a un ritmo eccessivamente lento fa di El Gran Movimiento un film, leider, di difficile visione.

7 Prisioneiros, di Alexandre Moratto (Horizons) 4,5/5

Mateus (Christian Malheiros), giovane brasiliano di campagna, decide di andare a lavorare con un gruppo di amici a San Paolo per aiutare economicamente la famiglia.

Appena arrivano nella metropoli gli occhi si spalancano e diventano lucidi: San Paolo è uno spettacolo mai visto, con i grattacieli che svettano altissimi e le auto che sfrecciano nelle strade. La prima cena, una bistecca: si respira libertà, si odora ricchezza.

Ma le superfici riflettenti dei grattacieli sono solo specchi per le allodole: ai colori caldi e intensi della campagna si sostituisce il grigio della discarica in cui i ragazzi vengono sfruttati, gli occhi si adombrano e si fanno sempre più sottili sotto al peso della stanchezza e della delusione.

Ricattati, sfruttati e minacciati i ragazzi cercheranno invano giorno dopo giorno di riconquistare quella libertà rubata, rimanendo imprigionati in quel cerchio di violenza che rende ogni vittima un nuovo carnefice.

Un film crudo, cinico, disilluso che racconta senza mezzi termini una realtà difficile dove non c’è spazio per il riscatto e per la salvezza. Un lavoro brutalmente onesto che invita a riflettere su problemi fin troppo attuali.

Maria Vittoria Battaglia

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