Spécial # ROMAFF12 – Le film minimaliste La vie et rien de plus par Antonio Méndez Eparza,

première au 12édition de Festival de Rome, Life and Nothing More è il secondo lungometraggio del regista spagnolo Antonio Méndez Eparza, Son premier emploi en anglais.

L'histoire racontée est celle d'Andrew - quatorze ans mélancolique et solitaire avec une expérience difficile dans la réforme derrière - et sa mère Regina - désireux de reconstruire leur vie après l'échec de son premier mariage, mais avec beaucoup de difficultés à joindre les deux bouts. La réunion de ce dernier avec un homme responsable dans l'amour et pourrait, en quelque sorte, aide dans la vie quotidienne. choses, mais, prenderanno presto una piega inaspettata.

La cosa più interessante che il regista ha qui voluto mettere in scena è probabilmente proprio la vita della periferia americana ai giorni nostri. Ben descritti, à cet égard, gli ambienti, con le loro strade semi deserte ed esterni che sembrano quasi dimenticati dal resto del mondo, oltre ad interni squallidi ed angusti. Il problema di un lungometraggio come Life and Nothing More il est, en effet, propre script. Sono molti, come è stato detto, gli spunti da cui la vicenda prende il via. péché, mais, che – durante le quasi due ore di lungometraggio – Méndez Esparza sembri prendere ogni volta una direzione diversa, senza mai portare a termine ciò che ha inizialmente iniziato e, surtout, rendendo tutto il lavoro quasi completamente privo di ritmo o di picchi narrativi. et ici, se all’inizio la macchina da presa sembrava concentrarsi esclusivamente sul giovane Andrew, dopo circa mezz’ora prende a seguire Regina senza mai staccarsi da lei e mettendo da parte, inspiegabilmente, il ragazzo. Il punto è che non si tratta, mais, né di un film corale, , tantomeno, di un lungometraggio ad episodi. Stesso discorso si può fare per altri importanti elementi che vengono via via tirati in ballo, per essere poi totalmente abbandonati senza logica alcuna. Ѐ questo, par exemple, il caso del personaggio del compagno di Regina, il quale esce quasi improvvisamente di scena per poi non tornare più e facendo sì che la sua stessa presenza risulti del tutto inutile ai fini della narrazione stessa. Allo stesso modo, il discorso del trumpismo e del conseguente razzismo – che viene affrontato nel momento in cui Andrew, dopo essere stato trattato in malo modo da una coppia al parco, finisce per minacciare questi ultimi con un coltello – cade improvvisamente nel vuoto, nel momento in cui il ragazzo viene rilasciato (ovviamente fuoricampo e, anche qui, senza un minimo di tensione). La vera scena madre, mais, si trova quasi verso il finale, quando vediamo Regina dare una lettera ad Andrew che lei stessa ha scritto. Ѐ qui che, mentre il ragazzo è intento a leggere, si sente la voce della madre fuoricampo che pronuncia le parole da lei scritte. Peccato che quest’ultima si trovi, allo stesso momento, proprio di fianco al figlio.

Che questo lungometraggio di Méndez Esparza, donc, non sia proprio quel che si dice un film riuscito, siamo d’accordo tutti. et pourtant, volendo fare un discorso esclusivamente sulla regia, le scelte adoperate dall’autore sono anche piuttosto interessanti: perfettamente in linea con la teoria zavattiniana, la macchina da presa segue costantemente i personaggi con movimenti essenziali, adoperando ogni volta pochissimi punti macchina e dando al tutto un interessante tono quasi documentaristico. péché, donc, essersi bruciati un film così. qui sait, peut-être, con un suo prossimo lavoro, il giovane cineasta spagnolo saprà come farsi perdonare. cette, du moins, è quello che ci auguriamo.

craintes de la marina

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