
Lo sguardo critico di Vittorio De Agrò dal Palais
(da Cannes Luigi Noera e Vittorio De Agrò (RS) con la gentile collaborazione di Eleonora Ono – le foto sono pubblicate per gentile concessione del Festival di Cannes)
I temi dei due film in concorso nel fine settimana affrantano da un lato il ritratto grottesco di un paese spaccato: no-mask contro pro-lockdown, razzismo e complottismo, istituzioni corrotte, informazione manipolata, e dall’altro il conflitto interiore di essere un buon credente e, allo stesso tempo, vivere una sessualità considerata peccaminosa dalla propria religione? È giusto sacrificare la propria identità per non deludere la famiglia?
COMPETITION
EDDINGTON di Ari ASTER con Joaquin Phoenix ed Emma Stone
Trama: New Mexico, 2020. Lo sceriffo Joe Cross e il sindaco Ted Garcia si detestano da anni. Antichi rancori personali (una vecchia relazione tra Ted e la moglie di Joe) si intrecciano a divergenze politiche e visioni opposte sulla gestione della pandemia da Covid. Joe decide di candidarsi a sindaco, mentre la città si spacca tra chi segue le regole e chi le rifiuta. Sullo sfondo, la tensione razziale e il malcontento sociale minano ogni equilibrio. La miccia è accesa.
Recensione: Il 2020 è stato un anno che ha segnato tutti. La pandemia ha imposto silenzio, distanze, mascherine. Inizialmente sembrava unire. Poi ha diviso.
Negli Stati Uniti, al virus si è aggiunta una campagna elettorale tossica e la ferita razziale riaperta dopo l’ennesima uccisione da parte della polizia.
Ari Aster prova a raccontare tutto questo in Eddington, spingendo all’estremo quel periodo attraverso personaggi che incarnano paure, nevrosi e rabbia.
La prima parte è riuscita. Ogni figura rappresenta un’America diversa:
– Joaquin Phoenix è lo sceriffo scettico, insofferente alle restrizioni, convinto che la pandemia sia gonfiata ad arte.
– Pedro Pascal è il sindaco ligio, maniacale, chiuso in casa con una famiglia che sta implodendo.
– Emma Stone (qui quasi sprecata) è Louise, la moglie del protagonista, spettatrice e vittima delle frustrazioni crescenti.
Eddington diventa il ritratto grottesco di un paese spaccato: no-mask contro pro-lockdown, razzismo e complottismo, istituzioni corrotte, informazione manipolata.
Ma quando il film dovrebbe stringere e affondare il colpo, si perde.
Nella seconda parte Aster cambia registro. Abbandona la satira politica e sociale e si rifugia nella violenza simbolica, tra esplosioni, droni, omicidi e deliri.
Phoenix si trasforma in un giustiziere furioso, e il racconto deraglia in una spirale di eccessi.
Sembra che Aster non sappia come chiudere. Apre troppe linee narrative, alcune inutili, altre appena accennate. Il tono si fa incerto, quasi caricaturale.
Alla fine Eddington è due film in uno. Il primo è una radiografia amara e inquieta dell’America contemporanea. Il secondo, un esercizio stilistico che confonde e appesantisce.
Un’occasione parzialmente mancata. Ma comunque un film che merita attenzione. Anche solo per vedere quanto ci avvicinati al punto di non ritorno
LA PETITE DERNIÈRE di Hafsia HERZI
Trama: La Petite Dernière racconta la storia di Fatima (interpretata da Nadia Melliti), una ragazza di diciassette anni, la più giovane di tre sorelle, cresciuta in una famiglia franco-algerina affettuosa e unita nella periferia parigina.
Recensione: Studentessa brillante, Fatima ottiene un posto in una prestigiosa classe preparatoria di filosofia a Parigi. È la prima della sua famiglia ad accedere all’università, e questo la rende motivo d’orgoglio. Ma, una volta lontana da casa, entra in contatto con un mondo nuovo, libero, dove può finalmente esplorare se stessa. Nasce così un percorso di scoperta e conflitto: l’attrazione per le donne mette in crisi la sua fede musulmana e i valori della sua comunità.
Divisa tra il desiderio di essere sé stessa e la paura di deludere la famiglia, Fatima cerca un equilibrio tra identità, appartenenza, libertà e fede. Il cammino si rivela doloroso, fatto di emozioni nuove, prime volte, delusioni, ma anche di coraggio e crescita.
Recensione: È possibile essere un buon credente e, allo stesso tempo, vivere una sessualità considerata peccaminosa dalla propria religione? È giusto sacrificare la propria identità per non deludere la famiglia?
La Petite Dernière affronta queste domande attraverso lo sguardo sincero e fragile di Fatima, una diciassettenne musulmana, figlia devota, sorella affettuosa, studentessa modello. Ma dietro la facciata perfetta, si agita un desiderio che la mette in crisi: Fatima è attratta dalle donne.
La protagonista prova a vivere due vite parallele: quella pubblica, rassicurante, e quella segreta, carica di sensi di colpa. Usa un’app di appuntamenti, incontra alcune ragazze: sono momenti teneri, goffi, carnali, vissuti con l’incertezza di chi è alla ricerca di sé. L’incontro con un’infermiera coreana, conosciuta a scuola, si trasforma in un autentico colpo di fulmine. Per un breve tempo, Fatima si sente felice. Ma la relazione si interrompe bruscamente, lasciandola ferita e abbandonata.
Nel tentativo di lenire il dolore, si rifugia in esperienze occasionali, ma nessuna riesce a colmare il vuoto. Nemmeno il colloquio con l’Imam, tra i momenti più forti e amari del film, riesce a offrirle conforto: mostra anzi l’incolmabile distanza tra chi cerca ascolto e una religione che non sa accogliere.
Hafsia Herzi dirige un’opera intensa e delicata, capace di raccontare un coming out sofferto e spesso represso da una società rigida. La regia trova il tono giusto, senza cadere nel melodramma, dando spazio all’emotività autentica del percorso di Fatima.
La sceneggiatura è ben calibrata, segue i tempi interiori della protagonista con rispetto e profondità. Nadia Melliti è magnetica: la sua interpretazione è asciutta, intensa, vera. Le sue lacrime, il senso di colpa, la confusione sono credibili e toccanti.
La Petite Dernière ci ricorda che nessuna religione dovrebbe soffocare la felicità di chi crede. Fatima gioca da sola, come una bambina che si allena alla vita. E noi spettatori speriamo che quel tempo da sola duri il meno possibile, perché le sue ferite sono anche un po’ le nostre: quelle del primo amore, dell’identità che cerca spazio, della libertà che chiede di esistere.
Vittorio De Agrò (RS)