
Lo sguardo critico di Eleonora dalla Croisette
(da Cannes Luigi Noera e Vittorio De Agrò (RS) con la gentile collaborazione di Eleonora Ono – le foto sono pubblicate per gentile concessione del Festival di Cannes)
La 64ma Settimana della Critica non finisce mai di stupire con Reedland di Sven Bresser, opera prima olandese, in cui il silenzio ed il paesaggio sono metafore viventi
SdC Competition – Rietland (Reedland) di Sven Bresser
Trama: Quando il tagliatore di canne Johan scopre il corpo senza vita di una ragazza sulla sua terra, viene sopraffatto da un ambigua necessità per rintracciare il male. Ma l’oscurità può prosperare in luoghi inaspettati.
Recensione: Si apre il sipario con un enorme campo di grano. L’immagine è ferma, ed è subito in grado di trasmettere vibrazioni piuttosto angoscianti. In ogni modo, si percepisce come il regista si diverte a stuzzicare lo spettatore giocando sui codici del giallo noir, con un guizzo di Fantasy, senza tralasciare allusioni varie di psicologia profonda.
Il regista quindi riesce ad instillare il dubbio, sfruttando nel migliore dei modi la geografia in cui è ambientata la narrazione.
Questo vento incessante, che agita le canne, non fa che aumentare il senso di inquietudine. Tra l’altro vi è un lavoro sul sonoro impeccabile, poiché questi continui mormorii, questo incessante pispigliare, questo sussurrare, dà l’idea che anche il vento voglia comunicare qualcosa. Inoltre, il fruscio del grano diventa assordante come se fosse un treno in partenza. Tutto questo, è indubbiamente fuorviante ma terribilmente caratteristico.
Improvvise piogge torrenziali, aie deserte, incendi boschivi, fitte foreste, pietra nera, leggende locali di un mostro nascosto e di una sirena che maledice i suoi rapitori, suoni che squarciano il silenzio: la serie televisiva “True Detective” è nell’aria, con lievi accenni Shyamalan e Lynch. Tutto questo, racchiude l’iperrealismo olandese impreziosito da una messa in scena particolarmente meticolosa del direttore della fotografia Sam Dupuis. Il lavoro sul fuori campo, inquadrature molto diverse tra loro, giochi di luce.
Ad esempio, emblematica la scelta di focalizzarsi su una chiazza nera in mezzo al campo, creando l’illusione ottica di un cielo stellato, ma poco dopo l’immagine si trasforma in due dita che toccano le stelle. Tuttavia, è possibile che il frame possa variare ancora!
Dunque, ecco molte delle qualità che contraddistinguono il regista, tra cui il rapporto con il silenzio, come un artista in grado di suggerire molto con pochissimo.
La storia diventa ancor più curiosa, quando Johan, tagliatore di canne, scopre il corpo senza vita di una ragazza sulla sua terra, il suo volto austero si incrina sotto il peso di una colpa ambigua, mai formulata, né, tantomeno, palesata. Da lì, l’indagine che intraprende – tra i canneti spazzati dal venticello, le assemblee rurali, la cura tenera della nipotina – assume i contorni di una discesa nel male quotidiano, in quell’invisibile sedimentazione di errori, paure, angosce e silenzi che plasma il peccato come una forza naturale, irrimediabile.
Il rullo procede il suo avanzare con un cambio repentino di spezzoni di vita quotidiana variando anche la palette cromatica: la recita scolastica con i bambini travestiti da ippopotami; il protagonista si prende cura della sua cavalla Grise con affetto, si occupa della nipote undicenne Dana;
la folle sequenza della lavatrice, che incide una crepa straniante nella consistenza narrativa.
La trama è intensa, densa, pesante e colma di silenzi, il che delle volte, son più assordanti dell’urlo. Dopotutto, è proprio nella quiete che l’essere umano riesce, se è predisposto, a riconnettersi con il proprio io interiore e, soprattutto, è l’esatto istante in cui è possibile cercare di interrogarsi in maniera introspettiva sul proprio vissuto.
Reedland è un film da vedere sul grande schermo, lasciandosi trasportare dal suono della natura
Eleonora Ono
Ndr: ci auguriamo che in estate venga selezionato nella manifestazione Cannes@Roma!