
Lo sguardo critico di Vittorio De Agrò dal Palais
(da Cannes Luigi Noera e Vittorio De Agrò (RS) con la gentile collaborazione di Eleonora Ono – le foto sono pubblicate per gentile concessione del Festival di Cannes)

Il Festival di #CANNES78 non dimentica l’Ucraina: omaggio a Zelensky e al coraggio del suo popolo
Nella giornata inaugurale non poteva mancare l’atto politico per eccellenza e così oltre al tributo ai grandi del passato è stato presentato un trittico sulla guerra della martoriata Ucraina. In particolare sulla figura di V. Zelensky nella biografia di Yves Jeuland, Lisa Vapné & Ariane Chemin
Il Festival di Cannes ha aperto la sua edizione con un evento speciale dedicato all’Ucraina, in segno di solidarietà verso un popolo martoriato ma tenace. Martedì 13 maggio, al Palais des Festivals, è stato presentato un programma composto da tre opere che raccontano momenti chiave della guerra e le sue figure simbolo: Zelensky, Notre Guerre di Bernard-Henri Lévy e 2000 metri fino ad Andriivka di Mstyslav Chernov.
Raccontardicinema, da sempre vicino alla causa ucraina, ha assistito alla proiezione del primo film in programma:
Zelensky di Yves Jeuland, Lisa Vapné & Ariane Chemin
Trama: Volodymyr Zelensky nasce nel 1978 a Kryvyi Rih, città industriale nell’Ucraina orientale. Cresciuto in un ambiente sovietico, senza particolari interessi politici, sviluppa fin da giovane una forte passione per la recitazione e lo spettacolo. Per rassicurare il padre studia legge, ma il suo vero talento emerge tra palcoscenici improvvisati, stand-up comedy e musical.
Recensione:A volte il destino gioca con l’ironia. Nessuno, tantomeno lo stesso Zelensky, avrebbe immaginato che quel ragazzo cresciuto nella grigia ed industriale Kryvyi Rih sarebbe diventato il simbolo della resistenza ucraina.
Dall’inizio dell’invasione russa (febbraio 2022), su Zelensky si è detto tutto e il contrario di tutto: eroe per alcuni, figura controversa per altri. Ma sarà la Storia, si spera scritta con onestà, a definire il suo ruolo.
Il documentario punta a raccontare il percorso umano e artistico di Zelensky, prima ancora che politico. Più che un eroe costruito, il film mostra un giovane trascinatore nato, capace di guidare e ispirare chi lo circondava già da adolescente. Dai racconti di amici come Denis, Sasha e Olenka, emerge un legame profondo e sincero: insieme formarono un gruppo (Kryvji 95)di artisti che conquistò il pubblico ucraino e russo.
Indimenticabile la loro partecipazione a un concorso(una sorta di Giochi senza frontiere) nell’Est Europa nel 1997, dove furono ingiustamente penalizzati da una giuria filo-russa. Quella sconfitta accese in Zelensky la determinazione a diventare produttore dei propri progetti.
Attore, comico, produttore di successo, vive da spettatore i cambiamenti politici del suo Paese fino all’annessione della Crimea nel 2014. Quel momento segna una svolta. Zelensky prende posizione, si schiera contro la Russia. Fara un lungo tour nel Donbass per sostenere i soldati ucraini.
La sua popolarità cresce ancora con la vittoria a Ballando con le stelle e il successo della serie televisiva Servitore del popolo, dove interpreta un professore stanco della corruzione che decide di candidarsi alle presidenziali. Un copione che diventa realtà: nel 2018 annuncia davvero la sua candidatura e vince con il 73% dei voti, promettendo la restituzione della Crimea e la fine del conflitto nel Donbass.
Il documentario, lungo oltre due ore (una durata più contenuta sarebbe stata più efficace), è comunque ben realizzato e approfondisce con precisione il profilo umano e politico di Zelensky.
Il vero punto di svolta arriva nei primi giorni dell’invasione russa, quando decide di restare a Kiev. In un video girato al buio, insieme al suo staff, mostra al mondo la sua scelta: restare e combattere. Da comico a comandante.
Nel maggio 2022, Zelensky interviene in apertura al Festival di Cannes, citando Charlie Chaplin e Il Grande Dittatore: parole ancora attuali e potenti pronunciate da un altro grande comico.
Con il filo conduttore del grande del cinema dei primordi per Cannes Classics
Film d’apertura: L’età dell’oro (1925) di Charlie Chaplin restaurato
Trama: Il Vagabondo si unisce alla corsa all’oro nel gelo del Nord, tra cercatori disperati, criminali, fame e bufere di neve. Si rifugia in una capanna con due compagni, affrontando la fame al punto da dover bollire una scarpa per mangiare. La fame lo fa apparire come un pollo agli occhi di Giacomone, ma l’arrivo di un orso cambia le sorti.
Dopo varie peripezie, il Vagabondo arriva in un villaggio minerario dove si innamora di Giorgia, una ballerina che inizialmente lo deride per far ingelosire un altro uomo. Malintesi, umiliazioni e una cena di Capodanno fallita fanno parte del loro lento avvicinamento.
Intanto, Giacomone, sopravvissuto e colpito da amnesia, si ricorda del Vagabondo e lo coinvolge nella ricerca di una miniera. I due tornano alla vecchia capanna, ma una tempesta la spinge sull’orlo di un burrone. Dopo una rocambolesca salvezza, trovano davvero l’oro.
Divenuti milionari, tornano a casa in nave. Giorgia, ignara della loro fortuna, crede che il Vagabondo sia un clandestino e si offre di pagargli il biglietto. Ma scopre la verità e i due si ritrovano, sotto lo sguardo dei fotografi. Il Vagabondo sussurra che lei è sua moglie.
Recensione: Un anno fa avevo scoperto Napoleone di Abel Gance. Quest’anno, seguendo ancora una volta l’intuizione del direttore ingegnere Luigi Noera, ho avuto il piacere di rivedere L’età dell’oro, riscoprendo tutta la grandezza di Chaplin – o meglio, del suo alter ego Charlot.
A Cannes 2025, la proiezione restaurata di L’età dell’oro, grazie al
prezioso lavoro della Cineteca di Bologna, è stata un modo perfetto per aprire il Festival, celebrando i cento anni dalla sua prima uscita. La versione presentata ha valorizzato ogni dettaglio: ogni passo, ogni oggetto che si muove, ogni espressione del corpo diventa parte integrante della narrazione grazie alla musica masterizzata e suoni amplificati. Il connubio tra il muto e il sonoro, tra mimo e orchestra, funziona in modo poetico e senza tempo.
Il film è una straordinaria miscela di comicità e malinconia. Chaplin riesce a raccontare la disperazione di chi cerca fortuna tra neve, fame e solitudine, ma lo fa con una leggerezza commovente. Il Vagabondo, con le sue scarpe rotte e lo sguardo sincero, incarna la parte migliore dell’animo umano: è buffo, sì, ma anche capace di slanci di gentilezza, amore, dedizione.
La storia d’amore con Giorgia, iniziata quasi per scherzo, evolve in modo delicato. Lui non ha nulla, ma le offre tutto ciò che possiede: il cuore, un fiore conservato sotto il cuscino, una tavola imbandita per Capodanno. In questo, Chaplin è universale: parla della fame d’oro, certo, ma anche della fame d’amore.
C’è anche una vena sociale che scorre sotto la commedia: la miseria che spinge a bollire una scarpa, la lotta per un giacimento, l’arroganza dei ricchi. Eppure, Chaplin non è mai cinico. Crede che il buono, il semplice, possa avere la sua rivincita. E la ottiene, anche se in modo rocambolesco, con un pizzico di favola.…….
COMPETITION
Film d’apertura: PARTIR UN JOUR di Amélie BONNIN opera prima FC
La trama: Cécile sta per aprire il suo ristorante gourmet, realizzando finalmente il suo sogno, quando improvvisamente suo padre ha un infarto e viene richiamata nel villaggio dove è nata. Lontano dal trambusto della vita parigina, incontra l’amore adolescenziale. I ricordi riaffiorano, destabilizzando le sue certezze.
Recensione: “Lasciare un giorno” è stato scelto come film d’apertura della 78ª edizione del Festival di Cannes, ma purtroppo non riesce a reggere il peso simbolico e qualitativo di una simile vetrina.
Non è un brutto film, e ha anche momenti sinceri e toccanti. Tuttavia, nel complesso risulta prevedibile, ancorato a uno schema narrativo già visto: il ritorno a casa, i conti in sospeso, la crisi esistenziale, il primo amore ritrovato. Elementi che rischiano di suonare già scritti, già vissuti.
L’idea di inserire l’elemento musicale come veicolo anche emotivo – quasi da musical leggero – è l’unica scelta davvero originale della regista.
Funziona a tratti, soprattutto nei momenti più intimi della protagonista. Ma non basta a sollevare un’opera che rimane dignitosa, ma priva di quel guizzo capace di renderla memorabile.
La protagonista Juliette Armanet, nota cantautrice francese, sorprende per intensità e presenza scenica. Regge quasi da sola il peso del film, dando sfumature credibili a un personaggio complesso e spesso in bilico tra razionalità e istinto. Il cast di supporto, ben selezionato, fa da cornice senza mai sovrastare.
Il film tenta di trasmettere un messaggio semplice ma universale: la casa e gli affetti sono il nostro rifugio, ma anche il luogo da cui spesso vogliamo fuggire. Ed è solo tornando alle origini – per scelta o per necessità – che possiamo riscoprirci. Non c’è catarsi o colpo di scena, ma una pacificazione emotiva raccontata con misura, senza retorica.
Partir un jour è un film delicato, dal sapore agrodolce, ma troppo timido per lasciare il segno. Commuove in modo gentile, ma non graffia, opera prima con buone intenzioni, ma ancora acerba. Un debutto che lascia intravedere un potenziale, ma che per ora resta nei binari del già noto.
Vittorio De Agrò (RS)