
Dallo Zoo Palast il Focus del giorno sulle sezioni collaterali Generation e Forum nello sguardo critico di Eleonora Ono
(dalla #Berlinale Luigi Noera con la gentile collaborazione di Eleonora Ono, Marina Pavido e Valentina Vignoli della Redazione RdC – Le foto sono pubblicate per gentile concessione della #BERLINALE)
Forum
Batim (Houses) di Veronica Nicole Tetelbaum – Israele / D 2025 WP | Opera prima
La Trama: Sasha è non-binaria ed è arrivata in Israele dall’Unione Sovietica da bambina negli anni ’90. Ossessionata dai ricordi, visita le case in cui viveva. Una meditazione silenziosa in bianco e nero su cosa significhi sentirsi a casa in una casa, in un corpo e nel tempo.
*****
Houses è film dal genere drammatico diretto dalla regista Veronica nicole tetelbaum.
Tutti gli occhi sono puntati sulla protagonista: Sasha, si ritrova scaraventata nella vecchia dimora. È un personaggio difficile, delicato, diffidente e cupo, a causa delle faticose vicende passate. Peraltro, si percepisce l’effettivo peso che si porta sulle spalle.
La malinconia, il dolore e la nostalgia la assalgono di continuo, fino a quasi prendersi ogni essenza serena della sua esistenza. Tutto questo, viene incredibilmente condito dall’aspetto metereologico: pioggia fissa battente con cielo tetro.
Sasha, è un individuo non binario che è emigrato in Israele dall’Unione Sovietica negli anni ‘90, pertanto le sue condizioni emotive non sono delle migliori anche per una serie di vicissitudini chiare e palesi.
Inoltre, la figura di spicco non è mai sola, vi è un cane con lei, un amico fedele e fidato di cui ha assolutamente bisogno; vi è la figura della madre che, nonostante sia presente solo per telefono, non la lascia mai sprofondare nel suo dolore, anzi le ricorda anche di comunicare con il padre.
In ogni modo, è molto originale la scelta della direttrice creativa di rendere la pellicola in bianco e nero, poiché, è anche grazie ad essa, che lo spettatore entra in empatia con il personaggio descritto.
Tuttavia, il colpo di scena è fornito, su un piatto d’argento, da alcuni frame di ricordi di Sasha: il rullo torna indietro (rewind) con una palette di colori saturi con l’intento di donare speranza, fiducia e desiderio.
La fotografia è molto attenda nei dettagli
Dovrebbe essere il contrario: assenza di colore sulla reminiscenza, ed ecco il colpo di scena dal momento che sarà proprio grazie al suo background che riuscirà a riconnettersi con la parte più intima di sé stessa e troverà la forza di lottare e reagire nonostante tutto.
La musica riesce a completare l’opera facendo da cornice, danzando in maniera delicata anche con la fotografia, la quale riesce a cogliere con una determinata cadenza tutti i momenti salienti e con picchi di energia: quando Sasha riesce a concedersi fisicamente alla ragazza per la quale ha perduto la testa; parallelismo di ricordi della sua vita passata che collimano perfettamente con la musica e con il ballo attraverso pose precise.
Insomma, l’operato è indubbiamente d’effetto e denso di emozioni, il che non è mai un peccato!
Generation Kplus
Space Cadet di Eric San (aka KID KOALA) Canada 2025 | WP | Opera prima | Animazione
La pellicola è colma di tenerezza, amorevolezza e solidarietà, grazie all’attenzione e cura che ha il robot nei confronti della scienziata, Celeste.
Chi avrebbe mai pensato che un robot potesse far breccia nel cuore dello spettatore?
Chi avrebbe -soprattutto – mai considerato che, nel periodo storico in cui si è oggi, il tanto famigerato terzo millennio, avrebbe creato un’allergia verso l’empatia, i sentimenti, considerando tutto ciò un sinonimo di debolezza?
Ed è, forse, proprio questo il motivo per il quale quest’opera cinematografica genera molte riflessioni, sensibilizzando questa tematica.
La rappresentazione del colore spesso coincide con lo stato emozionale del personaggio, aggiungendo una giusta profondità alla loro caratterizzazione: il peso cromatico è piuttosto bilanciato. Infatti, la palette evidenzia un azzurro tenue, celeste e giallo. Tant’è, che nel momento in cui il Robot si trova da solo ad affrontare la solitudine, la temperatura è priva di intensità. In un secondo momento, invece, il giallo prende il sopravvento donando anche un po’ di serenità all’immagine stessa.
Toccante l’attimo in cui il protagonista cerca di umanizzarsi, ed è in questo istante che nasce l’osservazione: è possibile rendere umane delle semplici macchine oppure saranno destinate ad essere per sempre destinate all’alienazione e all’oblio?
Eleonora Ono