
Gli esordi dell’icona Folk del sessantotto per antonomasia sono il filo conduttore di questo biopic ben riuscito grazie alla performance degli attori tutti anche canora
In primis Timothée Chalamet che si è calato nel personaggio e nelle qualità canore e musicali dell’idolo di tante generazioni, con una preparazione impeccabile.
Ma anche Edward Norton nel ruolo di Pete Seeger, la stupenda Elle
Fanning nel ruolo di una amorevole Sylvie e Monica Barbaro nel ruolo di Joan Baez, altrettanto brava con le sue performance canore.
In #ACompleteUnknown viene fuori una figura inedita di un talento con le sue fragilità e i suoi fantasmi della disastrosa vita familiare nell’adolescenza.
Il racconto parte appunto da quando Pete Seeger, altra icona del folk americano degli anni ’60 accoglie a casa il giovane Bob e ne percepisce il talento innato. Siamo davanti ad un giovinetto che ha tanti ideali che non tradirà mai.
Dopo aver conosciuto l’altra icona del Folk Joan Baez in una serata in un locale ai tempi di JFK nel Greenwich Village, grazie al suo mentore Pete, viene apprezzato dal pubblico. E qui inizia la potenza della parte musicale del film. La sua estrazione cattolica lo porta a esibirsi anche in una chiesa dove conoscerà l’amore e la Musa che lo ispirerà: Sylvie.
Qui c’è una piccola disgressione ed omaggio al film Guernica che ci ricorda gli orrori della guerra del passato (seconda guerra mondiale, ma anche la crisi di Cuba) e quelle che oggi tanti popoli stanno vivendo sulla propria pelle.

La natura talentuosa di Bob Dylan, nato Zimmerman, ma anche la sua fragilità per la mancanza di una famiglia e il senso dell’abbandono (le ricorrenti visite al suo padre putativo il cantante folk Guthrie sua fonte di ispirazione ricoverato in un centro riabilitativo, e i conseguenti sensi di colpa, leitmotiv ricorrente nel film) lo porta ad essere concentrato sulla produzione artistica.
Così quando Sylvie si reca in Europa per un agognato lavoro, Bob dopo averla implorata inutilmente si rifugia nel grembo di Joan Baez, in un valzer di una doppia vita, diventando il suo amante e beneficiando della notorietà della cantante.
Con Joan Baez inizia la produzione di quelle canzoni come la famosa Blowin’ in the Wind invitandolo sul palco per duettare con lei e registrando alcune delle sue prime canzoni, che fu determinante nel portare Dylan al successo nazionale e internazionale
Il biopic mette in mostra oltre alle fragilità dovute all’improvvisa notorietà, anche la sua propensione ad usare, magari involontariamente, per l’amore per la Poesia e la Musica le persone che lo circondano. Ma anche i suoi manager quali John Henry Hammond, ma soprattutto Albert Grossman che decisamente erano più interessati a far soldi, mentre solo Pet Seeger lo sostenne in maniera limpida anche quando nel 1965 avviene la svolta “elettrica” che da molti suoi fan venne considerata come un tradimento alle sue origini folk.
In una delle scene finali lo vediamo al Festival Folk di Newport assediato dal pubblico tanto da dover commiatarsi con una canzone folk che fu per lui quasi un abiura.

La vita interiore di Dylan è il punto centrale del film. Una vita tormentata da una star che non lo vuole essere, ma al contempo dalla forza prorompente del suo talento che sgorga senza dargli tregua.
Le fragilità umane fanno parte di un mostro sacro come Bob Dylan che vediamo esibirsi sul palco con l’altro mostro sacro Joan Baez.
Sullo sfondo l’amore della sua vita Sylvie che con la frase di addio “Non chiediamo la Luna, abbiamo le Stelle” conclude la relazione tormentata con lui durante il Festival de Folk nel 1965.

In tutto questo c’è la solitudine del talento la cui compagna di una vita è la moto Triumph altro personaggio del film.
Anche con il padre putativo il cantante folk Guthrie il commiato nel sanatorio dove è ricoverato è netto: “Addio è stato bello averti conosciuto”.
E qui che si ferma il film che ci consegna le radici di #BobDylan: icona di ieri, di oggi e di domani come non l’abbiamo mai vista: fragilità ma anche tanta musica e poesia.
Alla fine della visione con una fotografia vintage sgranata dai toni sbiaditi e virati al giallo dove sono passati i fiumi di musica della giovinezza, anche fiumi di alcool e qualche spinello, ci si accorge che l’aspetto della disgressione sulle droghe è sottotraccia. Forse questa è la mancanza in un film con una interpretazione che proietta Timothée Chalamet ad alte vette per le sue prossime interpretazioni.
Sinossi: New York, primi anni ‘60. Sullo sfondo di una vibrante scena musicale e di tumultuosi sconvolgimenti culturali, un enigmatico diciannovenne del Minnesota arriva nel West Village con la sua chitarra e un talento rivoluzionario, destinato a cambiare il corso della musica americana. Mentre stringe i suoi legami più profondi durante l’ascesa verso la fama, cresce la sua irrequietezza nei confronti del movimento folk e, rifiutando di essere etichettato, compie una scelta controversa che risuona culturalmente in tutto il mondo. Timothée Chalamet interpreta e dà voce a Bob Dylan in A Complete Unknown di James Mangold, l’elettrizzante storia vera dietro l’ascesa di uno dei cantautori più iconici della storia.
(NdR: sul canale YouTube di RdC trovate i contenuti extra dalla viva voce dei protagonisti e del regista)
Luigi Noera