Cosa significa vivere oggi in India? Qual è la condizione della donna? Payal Kapadia risponde a queste domande con il suo secondo lungometraggio: All We Imagine As Light vincitore al Festival di Cannes
È la storia di tre infermiere che lavorano in un piccolo ospedale nella moderna Mumbai: la brava e taciturna Prabha (Kani Kusruti), la giovane e sognatrice Anu (Divya Prabha) e L’anziana e mai doma Parvaty (Chhaya Kadam). Le tre donne sono arrivate nella grande città dai loro villaggi, quando erano più piccole. Osserviamo le tre donne al lavoro svolto con professionalità, gentilezza ed attenzione per i problemi dei loro pazienti.
Si alternano momenti di vita dell’ospedale a squarci della città di Mombai, trasmettendo da una parte un senso di calore, umanità, colore dall’altra frenesia, povertà e mentalità diversa da quella europea.
Anche se le tre donne hanno età diverse e soprattutto vite diverse, in modo naturale quanto inteso emerge un legame, un’amicizia, una sincera vicinanza umana
Scopriamo che Prabha divide la casa con la volubile Anu, con la seconda fin da subito in difficoltà a pagare la sua quota d’affitto, con Prabha costretta a coprire l’intero affitto. Prabha, come fosse una sorella maggiore, invita la collega ad essere più riservata possibile con il suo fidanzato musulmano, Shiaz (Hridu Haroon), essendo una relazione discussa fuori e dentro l’ospedale. Nel frattempo, Parvaty, rimasta vedova, è minacciata di sfratto perché un promotore immobiliare ha acquistato il suo condominio e il suo defunto marito non le ha lasciato la documentazione che dimostrerebbe il diritto della sua residente a restare, o almeno a ottenere un risarcimento. L’equilibrio emotivo di Prabha, che fin qui appariva la più salda delle tre donne, viene meno inaspettatamente quando riceve in regalo uno cuociriso dalla Germania.
In Germania si trova suo marito, da cui non ha più notizie da anni, nonostante la promessa fatta alla donna, che l’avrebbe fatta venire una volta trovato un lavoro stabile,
Il regalo agli occhi e soprattutto al cuore di Prabha, ha un effetto quasi traumatico, non sapendo quale senso dargli ed il perché suo marito abbia deciso di rifarsi vivo proprio ora. Quando ha accettato di fare una platonica passeggiata notturna, con il gentile dottore Manoj (Azeez Nedumangad), uno straniero che ha difficoltà a imparare la lingua di Mumbai.
Le tre donne sentono il bisogno, urgenza d’allontanarsi da Mumbai e da questi problemi burocratici ed affettivi che rischiano di compromettere l’indipendenza conquistata finora senza aiuto maschile
Così Prabha e Anu accettano di accompagnare Parvaty, che licenziatasi dal lavoro in ospedale, ha deciso di tornare al suo villaggio natale sulla costa.
Dalla rumorosa Mubai è drastico il passaggio al silenzioso e quieto villaggio, ma narrativamente necessario e funzionale nel rappresentare il momento di riflessione, valutazione e risoluzione dei travagli interiori delle tre donne.
Se Mumbai incarna la frenesia della vita, il villaggio è il ritorno a casa. La possibilità di staccare la spina e di ritrovare il senso del proprio viaggio e soprattutto con chi farlo.
Le tre donne ritrovano la luce e la forza di ricominciare, avendo finalmente trovato una soluzione ai dubbi e problemi sorti nella prima parte del film.
In conclusione All We Imagine As Light è una visione intimista, delicata, intensa, coraggiosa, anche se segnata negativamente da un ritmo troppo compassato e da alcuni passaggi apparsi prolissi, che depotenziano il valore e fruibilità di un’apprezzabile storia al femminile.
Vittorio De Agrò (RS)