FOCUS del giorno e i Premi: La Comencini chiude la Mostra, ALMODOVAR si aggiudica il Leone d’Oro
(da Venezia Luigi Noera e Valentina Vignoli con la gentile collaborazione di Maria Vittoria Battaglia, Vittorio De Agrò (RS) e Marina Pavido – le foto sono pubblicate per gentile concessione della Mostra di Venezia)
#VENEZIA 81
QING CHUN GUI (YOUTH – HOMECOMING) di WANG BING Documentario
Sinossi: Con l’avvicinarsi delle vacanze di Capodanno i laboratori tessili di Zhili sono quasi deserti. I pochi dipendenti rimasti sono in disperata attesa dello stipendio per pagarsi il viaggio di ritorno a casa. Dalle rive del fiume Yangtze alle montagne dello Yunnan, tutti festeggeranno nelle proprie città natali e celebreranno i rituali di prosperità con la famiglia. Per Shi Wei questa è anche l’opportunità di sposarsi, come per Fang Lingping. Il marito, ex tecnico informatico, dovrà seguirla a Zhili dopo la cerimonia. Imparare è difficile, ma ciò non ostacola l’avvento di una nuova generazione di lavoratori
Commento del regista: In Cina la maggior parte dei giovani lavora duramente per mantenersi. Gli stipendi sono molto bassi, le giornate infinite e non c’è quasi tempo di riposare. La società cinese ha ridotto la loro vita quotidiana a lavoro. Guadagnare denaro è diventato l’unica ambizione.
Recensione: In Youth (Homecoming), Wang Bing torna nei laboratori tessili di Zhili e tutto sembra come prima: pagamenti incerti, turni infiniti, dormitori affollati. Ma qualcosa è cambiato. Siamo ancora immersi nella routine operaia, ma questa volta il tempo si dilata anche fuori dalla fabbrica.
Girato tra il 2014 e il 2019, Homecoming arriva dopo Spring (Cannes, 2023) e Hard Times (Locarno, 2024), completando un progetto di quasi dieci ore che è già storia del documentario contemporaneo. Non è un film per tutti – la durata, il ritmo, la ripetizione richiedono resistenza – ma chi resta, viene premiato da uno sguardo unico.
La novità? I lavoratori tornano a casa per il Capodanno cinese. Alcuni viaggi durano giorni, come quello di Dong Minyan e suo marito Mu Fei, diretti nello Yunnan. Sui treni stretti e affollati, il loro corpo racconta più di mille parole: sono giovani, ma già stanchi. Anche quando sono lontani dalla fabbrica, il lavoro resta dentro di loro.
Con Youth (Homecoming), Wang Bing firma forse il capitolo più emotivo della trilogia. Un film che non urla, ma scava. Senza retorica, senza musica, senza giudizio. Solo la realtà, nuda, che si ripete e resiste.
Incontriamo poi il padre di Mu Fei, a cui è stata recentemente diagnosticata la tubercolosi, e la madre, che crolla davanti alla telecamera, profondamente angosciata dai problemi di salute e finanziari che la famiglia sta affrontando, in quello che è probabilmente il passaggio più direttamente emotivo della trilogia. Anche la stessa Dong Minyan parla direttamente alla persona dietro la telecamera, confessando la propria disperazione; lontano dalla folla e dai corridoi di Zhili, questo episodio permette davvero ai suoi protagonisti di aprirsi.
Altre sequenze sono più gioiose, in particolare il corteo nuziale di un’altra giovane coppia, con tanto di fuochi d’artificio e clamorose esplosioni di schiuma, e una cerimonia di Capodanno nella provincia di Anhui (la didascalia recita ironicamente “Capodanno 2016 – Festa del Dio della Prosperità”). Altrove, in una città vicino al fiume Yangtze, si vede una famiglia cenare sotto un’immagine prominente e centrale del Presidente Mao, una delle poche sequenze della trilogia in cui Wang ci spinge direttamente a riflettere sull’eredità della storia moderna della Cina.
La festa termina dopo il banchetto nuziale di un’altra donna, Fang Lingping, il cui marito la riaccompagna a Zhili e si arruola a sua volta come operaio tessile, faticando ad apprendere le tecniche di produzione (lo stress tra lui e la moglie, più abile, diventa presto evidente). In quest’ultima ora del film, torniamo nella familiare e deprimente città, con l’arrivo di una nuova generazione di giovani in cerca di lavoro: vediamo rapidamente il loro entusiasmo giovanile placarsi mentre la struttura ciclica del film si riafferma, riecheggiando l’incessante lavoro dei macchinari devastanti di Zhili.
Fuori Concorso
IL TEMPO CHE CI VUOLE di FRANCESCA COMENCINI
Sinossi: questo film è il racconto molto personale di momenti vissuti dalla regista con il padre. Un racconto personale che però trova la giusta distanza nel fatto che tra il padre e la figlia c’è sempre il cinema come passione, scelta di vita, modo di stare al mondo. Il cinema come una rete che sottende il racconto dei loro scambi, crea lo spazio dell’immaginazione. “Con il cinema” dice, il padre “si può scappare. Con l’immaginazione”. Le immagini partono dai ricordi e come i ricordi amplificano alcuni segni salienti e ne cancellano altri. Immagini scarne, in cui non c’è quasi niente tranne loro due, e in cui il segno che è presente ha sempre qualcosa di esagerato: se qualcosa è grande è molto grande, se è lontano è molto lontano, se c’è un raggio di luce è molto luminoso, se qualcosa è vicino è molto vicino. Per quel che riguarda i set, invece, molta pienezza, confusione, fretta, molta gente, molto chiasso e anche qui tutto amplificato, in questa eccitazione della vita collettiva che sono i set: qui quelli di Pinocchio, sempre creati in mezzo al nulla, in terreni brulli di campagna.
Commento della regista
Dopo tanti anni passati a fare il suo stesso lavoro cercando di essere diversa da lui, ho voluto raccontare quanto ogni cosa che sono la devo a lui: ho voluto rendere omaggio a mio padre, al suo modo di fare cinema, al suo modo di essere, all’importanza che la sua opera e il suo impegno hanno avuto per il nostro cinema, all’importanza che la sua persona ha avuto per me. Forse, mi sono detta, forse ora sono abbastanza anziana, ne sono capace, forse ora sarò all’altezza di questo racconto. Forse, ora, è arrivato il momento di dirgli grazie.
Recensione: Con Il tempo che ci vuole, Francesca Comencini torna alla Mostra del Cinema di Venezia con un film personale, intimo, emotivamente nudo. È la storia del rapporto con suo padre, Luigi Comencini, uno dei grandi maestri del cinema italiano del dopoguerra. Un confronto a cuore aperto che diventa anche un atto d’amore verso il cinema stesso.
Non serve conoscere tutta la filmografia dei Comencini per entrare in questa storia, ma certo aiuta. Il film si muove tra Roma e Parigi, tra infanzia e età adulta, tra incomprensioni familiari e sogni impossibili. È un viaggio nel tempo e nella memoria, dove la regista si mette a nudo senza cadere nel patetico, grazie anche alle ottime interpretazioni di Fabrizio Gifuni nei panni di Luigi e Romana Maggiora Vergano come Francesca (già vista in C’è ancora domani).
La prima parte del film è quella più tenera: una bambina che guarda il padre da lontano, mentre sullo sfondo scorrono le immagini della Pinocchio televisiva del ’72, uno dei capolavori di Luigi. Francesca osserva e assorbe, mentre il padre costruisce mondi fantastici per il pubblico, ma resta distante nella vita reale. Il corridoio di casa, lungo e lucido come uno specchio, diventa lo spazio simbolico della loro distanza.
Poi arriva l’adolescenza, e con essa il buio. La comunicazione si spezza, l’incomprensione cresce. Luigi è stanco, malato, amareggiato. Francesca è chiusa, arrabbiata, delusa. Non c’è traccia delle sorelle o della madre, ma questa è la loro storia, raccontata dal punto di vista della figlia che cerca un senso.
Il film alterna il racconto personale a materiali d’archivio: spezzoni di cinema muto salvati da Luigi negli anni ’30 si inseriscono con eleganza, anche se non sempre con naturalezza, nella parte finale ambientata a Parigi. Là dove il tempo sembra essersi fermato, e dove la regista tenta l’ultimo dialogo con il padre attraverso il cinema, la memoria e una delicata fantasia finale.
Girato con sensibilità da Luca Bigazzi, Il tempo che ci vuole è un film che parla sottovoce, ma lascia il segno. Forse troppo personale per un pubblico generalista, ma sincero e coraggioso. È il ritratto di una figlia che cerca suo padre tra i ricordi, le immagini e il silenzio. E trova, forse, il modo di dirgli addio.
I PREMI di #VENEZIA81
La Giuria di VENEZIA 81, presieduta da Isabelle Huppert e composta da James Gray, Andrew Haigh, Agnieszka Holland, Kleber Mendonça Filho, Abderrahmane Sissako, Giuseppe Tornatore, Julia von Heinz e Zhang Ziyi ha assegnato i seguenti premi:
LEONE D’ORO per il miglior film a THE ROOM NEXT DOOR di Pedro Almodóvar (Spagna)

LEONE D’ARGENTO – GRAN PREMIO DELLA GIURIA a VERMIGLIO di Maura Delpero (Italia, Francia, Belgio)

LEONE D’ARGENTO – PREMIO PER LA MIGLIORE REGIA a Brady Corbet per il film THE BRUTALIST (Regno Unito) che ha anche ottenuto il riconoscimento da Arca CinemaGiovani – Miglior Film

COPPA VOLPI per la migliore interpretazione femminile a Nicole Kidman nel film BABYGIRL di Halina Reijn (Stati Uniti)

COPPA VOLPI per la migliore interpretazione maschile a Vincent Lindon nel film JOUER AVEC LE FEU (THE QUIET SON) di Delphine Coulin e Muriel Coulin (Francia)

PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a Murilo Hauser e Heitor Lorega per il film AINDA ESTOU AQUI di Walter Salles (Brasile, Francia)
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA ad APRIL di Dea Kulumbegashvili (Francia, Italia, Georgia)
PREMIO MARCELLO MASTROIANNI a un giovane attore o attrice emergente a Paul Kircher nel film LEURS ENFANTS APRÈS EUX (AND THEIR CHILDREN AFTER THEM) di Ludovic Boukherma e Zoran Boukherma (Francia)
ORIZZONTI
La Giuria ORIZZONTI della 81. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, presieduta da Debra Granik e composta da Ali Asgari, Soudade Kaadan, Christos Nikou, Tuva Novotny, Gábor Reisz e Valia Santella, ha assegnato
PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR FILM a ANUL NOU CARE N-A FOST (THE NEW YEAR THAT NEVER CAME) di Bogdan Mureșanu (Romania, Serbia) che ha anche ricevuto il Premio FIPRESCI) | FIPRESCI – International Federation of Film Critics come Miglior film di Orizzonti o delle sezioni parallele
PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE REGIA a Sarah Friedland per il film FAMILIAR TOUCH (Stati Uniti)

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA ORIZZONTI a HEMME’NIN ÖLDÜĞÜ GÜNLERDEN BIRI (ONE OF THOSE DAYS WHEN HEMME DIES) di Murat Fıratoğlu (Turchia)
PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE ATTRICE a Kathleen Chalfant nel film FAMILIAR TOUCH di Sarah Friedland (Stati Uniti)
PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR ATTORE a Francesco Gheghi nel film FAMILIA di Francesco Costabile (Italia) PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a Scandar Copti per il film HAPPY HOLIDAYS (Palestina, Germania, Francia, Italia, Qatar)
LEONE DEL FUTURO PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS”
La Giuria LEONE DEL FUTURO – PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS” della 81. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, presieduta da Gianni Canova e composta da Ricky D’Ambrose, Bárbara Paz, Taylor Russell, Jacob Wong assegna il premio a FAMILIAR TOUCH di Sarah Friedland (Stati Uniti)
ORIZZONTI EXTRA PREMIO DEGLI SPETTATORI – ARMANI BEAUTY
SHAHED (THE WITNESS) di Nader Saeivar (Germania, Austria)
Arca CinemaGiovani – Miglior film italiano a Venezia a:
VITTORIA di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman che ha avuto anche il riconoscimento del Premio FEDIC | Federazione Italiana dei Cineclub

Giurie equilibrate hanno scelto i migliori film e si possono condividere le scelte, e con questo un aarivederci al 2025!
Luigi Noera