#Venezia81 – 28.8/7.9.2024 SPECIALE #13 (DAYS 6&7)

Lo sguardo critico di Valentina dal Lido

(da Venezia Luigi Noera e Valentina Vignoli con la gentile collaborazione di Maria Vittoria Battaglia, Vittorio De Agrò (RS) e Marina Pavido – le foto sono pubblicate per gentile concessione della Mostra di Venezia)

Al giro di boa Orizzonti in Giappone si interroga sulle nuove tecnologie che ci controllano e  riflette sulla terza età con la potente interpretazione dell’ attrice Kathleen Chalfant, mentre delude Athena Rachel Tsangari con Harvest in Concorso

Happyend di Neo Sora (Orizzonti)

In un futuro non troppo lontano, gli studenti che si preparano alla maturità in una Tokyo distopica decidono di ribellarsi all’uso smodato della tecnologia più avanzata che non permette privacy. Neo Sora, dopo il film concerto, bellissimo e commovente, dedicato al padre, il grande compositore giapponese, Ryuichi Sakamoto: Opus, dirige un dramma dai toni abbastanza comici, che dà voce, con metafore non troppo lontane dalla realtà, ad una giovane generazione in crisi.

L’annuncio di un imminente terremoto scatena un gruppo di liceali che, facendo un dispetto al preside della scuola, si ritrovano ad essere vittime delle nuove telecamere computerizzate, una sorta di Grande Fratello meno tenebroso.

Gli studenti sono divisi: c’è chi canta “la persona più importante del mondo è il computer”, mentre i più esuberanti si rivelano essere i più accorti.

La tecnologia isola e porta ad un punto di stallo: c’è una scena che vede due personaggi rimasti bloccati in un angolo, impossibilitati a muoversi, circondati dal pavimento bagnato, dopo aver passato lo straccio per tutta la grande sala.

Happyend ha delle belle trovate e mostra lo sguardo di un autore giovane (Neo Sora è classe 1991) che vuole raccontare la gioventù alle prese con la rivoluzione tecnologica a cui nulla sfugge. Si tratta del primo lungometraggio del regista. Presentato alla Mostra di Venezia nella sezione Orizzonti, Happyend è un happy beginning (un felice inizio) per Neo Sora.

Harvest di Athena Rachel Tsangari (Concorso)

Conosciamo già questa regista: ha diretto la commedia (ben riuscita) Chevalier e, prima ancora, ha lavorato con Yorgos Lanthimos. Peccato che con il suo film in concorso a Venezia, Harvest, Tsangari diventi irriconoscibile. Con pesantezza, il film racconta le vicende di una comunità autoctona. Troppo isolati e lontani dal mondo dove vige la legge, i contadini e servitori di Master Kent hanno ricreato una loro società, nella quale le regole non sono chiaramente delineate e basta poco per passare dall’offesa al sangue. In un’epoca non definita, dall’apparenza seicentesca, la storia (se così possiamo definirla), ha inizio con la celebrazione della giornata del raccolto: una festa fatta di danze, maschere e punizioni. Protagonista è Walter (il grande Cale Landry Jones), rimasto vedovo: trova nella natura un senso di salvezza e al contempo un senso di morte. (Sua moglie Cecile è stata fatalmente punta da un’ape.) Sono tanti i riferimenti alla figura di Gesù: vediamo Walter indossare una toga blu, solo, al centro dell’inquadratura, circondato da candele. Mr. Earle, suo amico e compagno di passeggiate, dipinge le mappe del territorio, ricavando i colori dalla flora stagionale. Per certi versi il film è molto tattile.

I bambini vengono portati alla roccia che delimita il confine del loro territorio per sbatterci la testa. È così che riconoscono la demarcazione della loro terra; è così che sanno dove appartengono.

Ed è un film che narra una tematica contemporanea importante: l’appartenenza al territorio, i confini, “lo straniero”. Tsangari dipinge un ritratto di una mentalità che vorremmo facesse parte solo del passato, di un passato che non ci appartiene più, ormai superato, con il quale non abbiamo nulla da spartire ma, in realtà, siamo ancora terribilmente vicini a questo tipo di ragionamenti.

I personaggi, accomunati tra loro da un senso di perdita e di inadeguatezza, non riescono ad accettare i cambiamenti e vorrebbero che tutto restasse immobile come le rocce sulle quali sbattono la testa.

Familiar Touch di Sarah Friedland (Orizzonti)

Presentato a Venezia, nella sezione Orizzonti, Familiar Touch, di Sarah Friedland, è un film che mette al centro la notevole interpretazione dell’attrice protagonista, Kathleen Chalfant, nei panni di Ruth Goldman, un’anziana alle prese con la malattia dell’alzheimer. Si tratta del primo lungometraggio della regista, che si è conquistata il premio Leone del Futuro Luigi de Laurentiis oltre a quello alla Miglior Regia nella sezione Orizzonti. Grazie a questo ruolo, Chalfant ha vinto il premio Miglior Attrice nella stessa sezione.

Familiar Touch racconta le difficoltà ad accettare questa condizione dal punto di vista di chi la vive. Il lento degrado psicofisico si riflette nel ritmo del film che, con un umorismo (a volte azzeccato) segue le complicazioni della transizione dalla casa all’ospizio.

Ruth è convinta si tratti di un gioco o di una recita. “Interpreto la paziente, tu il dottore”, dice scherzando. Fa di tutto per dimostrare che lei è diversa dalle persone che la circondano: lei si ricorda come si prepara il borscht. La sua è una lotta contro se stessa e contro tutti, ma soprattutto contro l’irrimediabile e incurabile malattia.

Chalfant ha la stoffa per affrontare questa parte ma gli elementi sorprendenti sono pochi, se non qualche battuta che funziona e alleggerisce la triste vicenda. Il rapporto con il figlio, vagamente accennato all’inizio, suggerisce il dramma familiare ma, come non pensare a The Father (2020) di Florian Zeller, che, con tutt’altro tono ci porta nel cuore della tragicità? E non possiamo non citare Still Alice, dove vediamo, forse, una delle interpretazioni più forti e convincenti di Julianne Moore.

È chiaro che l’obiettivo della regista statunitense, Friedland, sia ben diverso ma, per chi ha visto un familiare spegnersi dietro a questa condizione, viene da chiedersi se le risate siano davvero la cura migliore.

Ritirando il premio, Friedland, americana di origini ebraiche, ha espresso il suo supporto per il popolo palestinese, condannando il genocidio ancora in atto da parte di Israele.

Valentina Vignoli

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