#Venezia81 – 28.8/7.9.2024 SPECIALE #8 (DAYS 4&5)

Lo sguardo critico di Valentina dal Lido

(da Venezia Luigi Noera e Valentina Vignoli con la gentile collaborazione di Maria Vittoria Battaglia, Vittorio De Agrò (RS) e Marina Pavido – le foto sono pubblicate per gentile concessione della Mostra di Venezia)

Nel fine settimana la Mostra propone una serie dallo sguardo cinematografico, un potente film di Corbet e l’atteso corto di Bellocchio

Familier som vores (Famiglie come la nostra) – Serie di Thomas Vinterberg (FC)

La qualità delle serie presentate alla Mostra di Venezia quest’anno (Famiglie come la nostra, e anche Disclaimer di Alfonso Cuarón) è un forte indicatore che qualcosa sta cambiando, nel modo di raccontare e nel nostro modo di apprezzare le storie.

Il regista Thomas Vinterberg decide di affrontare il problema della crisi climatica in una serie distopica di sette puntate ambientata in un futuro non troppo lontano.

Un allarme ambientale minaccia il popolo danese che si trova costretto a lasciare il paese. Il livello dell’acqua si è alzato al punto che non sarà possibile sopravvivere nella penisola.

Seguendo i diversi membri di una famiglia di Copenhagen, Vinterberg mostra le difficoltà del distacco dal punto di vista di generazioni diverse.

C’è l’amore adolescenziale, il primo amore, appena sbocciato e già minacciato. Gli scrupoli finanziari dei genitori, avvertiti in anticipo grazie a una soffiata da parte dello zio acquisito, che lavora al ministero degli interni. Mentre i ricchi potranno scegliere la loro prossima destinazione; i meno abbienti dipenderanno invece dal governo.

Se ne La comune, il regista danese si era interessato alle dinamiche della convivenza, l’arrivo in una nuova casa, in questa serie Vinterberg mostra la partenza, il lasciare la propria casa.

Va notata la suspense con cui hanno inizio gli episodi. Il regista mantiene uno stile spaventosamente realista, non rinunciando a immagini oniriche che giocano con l’elemento dell’acqua e della paura, per niente irrazionale, a cui ruota intorno la serie.

The Brutalist di Brady Corbet (Concorso)

Un film fatto di contrasti: dal buio nero pesto al bianco marmoreo, Brady Corbet (L’infanzia di un leader; Vox Lux) racconta una storia, una vita, con grazia e ferocia.

Si distingue così il cinema di questo regista, al suo terzo lungometraggio: incipit che stordiscono, prefigurando una violenza che non verrà mai mostrata troppo esplicitamente, ma che è insita nei personaggi e nelle loro azioni.

László Tóth (uno straordinario Adrien Brody) arriva in America dall’Ungheria. Ebreo, sopravvissuto all’Olocausto, vive di ricordi e di attese.

Il paese che promette libertà non è ciò che poteva aspettarsi, anche se i grandi spazi e le grandi opportunità sembrano coincidere con l’illusione.

Corbet gioca con simbolismi chiari ma non poveri di sostanza. Impossibile non pensare a C’era una volta in America; siamo nel secondo dopoguerra, le strade dei sobborghi di New York sono popolate da immigrati affamati e infreddoliti.

Ci sono voluti sette anni per questo tour de force di film, che si rifà ad un cinema d’altri tempi. Riporta persino una tradizione ormai in disuso: l’intervallo (necessario, d’altronde, per sostenere la lunga durata di 215 minuti).

La storia viene quindi divisa in due parti, dove nella prima seguiamo Tóth nel “nuovo regno”, il suo imparare a convivere con l’America; nella seconda è l’arrivo della moglie e della nipote a segnare il suo stile di vita, il ritorno ad una convivenza, ciò che resta del nido familiare.

La sua presenza è ben accetta finché non diventa chiaro che il suo grande talento minaccia una società dove la ricchezza viene solo vista come denaro liquido. Il suo mondo interiore e il suo passato non si possono comprare. Corbet mette a confronto due mentalità, due culture e lo fa senza pietà.

Il “béton brut” di Le Corbusier è ciò che resta di un mondo ormai distrutto dove non si può tornare.

Se posso permettermi II di Marco Bellocchio (FC)

Il cortometraggio è stato presentato alla Mostra di Venezia, fuori concorso, in occasione del Premio Bresson a Marco Bellocchio “per il suo sguardo libero”.

“Quanti cadaveri si nascondono nelle case degli italiani?” chiede il ladro, prima di rinunciare a derubare un uomo che non ha più niente di rivendibile. Il suo tesoro non ha prezzo: sono libri accatastati che occupano ogni angolo della casa. La sua cultura, in questo paese, non ha valore. Bisognerebbe pagare chi legge ancora Dante e Pascoli, tenendo in vita quei tesori della nostra lingua e della nostra storia. Ma il triste orizzonte culturale della nostra penisola non premia certo chi passa il suo tempo sui libri: con il giusto cinismo, e un sottile umorismo che ricorda quello morettiano, Bellocchio dirige un cortometraggio che è il seguito di Se posso permettermi del 2021.

Fausto è un parassita; non ha mai lavorato e non sa da dove cominciare. È vissuto sulle spalle della madre per tutta la sua vita e quando questa è venuta a mancare si è visto il mondo crollargli addosso. Può vendere, o può vendersi, per rimediare agli scompensi. Un matrimonio riparatore, oppure un trasferimento di proprietà, sembrano essere le uniche soluzioni. Le musiche incalzanti, dallo spirito fiabesco quanto canzonatorio, ci riportano in Rapito: nella Sala Papale; nello sconforto di chi attende un responso da un più alto giudice. Se posso permettermi II è un sogno che vive di attese: l’attesa di prendere una decisione o di essere giudicati, non importa da chi, anche un ladro va bene.

In pochi minuti, Bellocchio riesce a toccare tanti drammi che ci riguardano tutti. Scritto dal regista insieme ai partecipanti del corso di sceneggiatura di Bobbio, ritroviamo gli attori ormai fedelissimi all’autore. Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Fabrizio Gifuni, Filippo Timi, e questa volta anche Rocco Papaleo e Edoardo Leo.

Valentina Vignoli

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