Il paesaggio desertico di un paesino di pescatori nel Nord della Francia diventa terreno di battaglia per delle forze extraterrestri dall’apparenza umana.
Burlandosi della saga di riferimento della fantascienza, Star Wars, Dumont mette insieme un film che viaggia tra citazioni e anomalie, concedendo qualche risata e qualche sorpresa.
Il volto del “cattivo” è quello di un bambino, il futuro erede, figlio del pescatore Jony. È lui il bersaglio delle forze nemiche.
Se la trovata delle navicelle spaziali a forma di chiese gotiche del XII secolo è un colpo agli occhi, i personaggi faticano ad uscire dal ruolo scritto su carta. Ma è proprio questa l’operazione che cerca il regista: uno straniamento che possa concedere un’estasi visiva, che viviamo nell’architettura dello Spazio.
Figure informe danzano e inquietano, mentre gli antropomorfi invadono la Terra, comunicando in modo incomprensibile, ma lasciando sempre un margine di spazio alla mimica facciale, segno che una qualche umanità, se pur minima, c’è.
Gli strani delitti nella cittadina, ideati dalle menti degli extraterrestri vengono seguiti da due poliziotti, che sono forse la cosa più bella del film. Lo spaesamento dei due e le ipotesi che il più loquace suggerisce al più silenzioso regalano momenti di comicità che tengono insieme la struttura a tratti poco salda del film.
Line (Lyna Khoudri, The French Dispatch) e Jane (Anamaria Vartolomei, L’évenément) finiscono pian piano per innamorarsi del pescatore Jony. L’una l’opposto dell’altra, si relazionano all’uomo rimasto solo attraverso la loro sessualità. Jane scoprirà che anche se di terrestre possiede solo la figura, può arrivare a sentire sentimenti forti, proprio come i “deboli umani”.
Fabrice Luchini incarna Belzébuth, il diavolo come dice il nome, e dallo Spazio incarica il suo esercito e li sprona all’azione. Rimane un attore che è capace, ancora una volta, di non deludere mai. Luchini e il cineasta tornano a lavorare insieme dopo Ma Loute, da cui Dumont riprende lo scenario dei pescatori.
Dumont lascia perplessi con questo film, un viaggio che non ha una meta precisa, ma nel più totale deserto di sentimenti riesce a passarci delle emozioni, così come delle riflessioni. Non è chiaro cosa sia il bene, né cosa sia il male, in questo terreno fatto di sabbia e di mare che domina il film. Proprio la lotta tra bene e male è il tema portante delle sue pellicole, anti convenzionali e sorprendenti, un professore di filosofia prestato al cinema, che ha collezionato per ben due volte il Gran Premio della Regia al Festival di Cannes con L’umanità e Flandres.
Vincitore dell’Orso d’Argento alla Berlinale, L’Impero arriva il 13 giugno nelle sale italiane.
Valentina Vignoli