Nel rush finale il Festival mette la marcia in più grazie al film iraniano che ipoteca la Palma d’Oro
(da Cannes Luigi Noera e Maria Vittoria Battaglia con la gentile collaborazione di Vittorio De Agrò (RS) – le foto sono pubblicate per gentile concessione del Festival di Cannes)
COMPETITION
THE SEED OF THE SACRED FIG di Mohammad Rasoulof
(ndr: recentemente andato in esilio volontario dall’Iran)
Sinossi: La storia riguarda un giudice istruttore del tribunale rivoluzionario di Teheran alle prese con sfiducia e paranoia che lo portano a sospettare della sua stessa moglie e delle sue figlie.
Recensione: Ciclicamente leggiamo, ascoltiamo storie e vediamo immagini di proteste e di insofferenza da parte degli studenti e soprattutto delle donne contro l’oppressione e repressione degli ayatollah per mano dei Guardiani della Rivoluzione Islamica e dei servizi segreti.
Ci siamo quasi abituati all’orrore di vite spezzate di giovani donne perché colpevoli di non portare il velo nel modo “corretto”.
Ma cosa sappiamo realmente della società iraniana? Una famiglia “normale ” che vive integrata nel sistema , è immune ai venti del cambiamento?
The Seed of the Sacred Fig apre , forse per la prima volta, uno squarcio sull’apparente monolite iraniano. Iman è un uomo, un marito e padre di 2 figlie, che da 20 vent’anni lavora nella polizia iraniana. È ormai nell’aria la sua promozione al grado di investigatore, passaggio necessario per poi ambire al ruolo di giudice. Iman e la sua devota moglie sono uniti nel raggiungimento di questo prestigioso obiettivo , sapendo bene che le “trappole” tese dagli invidiosi e le false denunzie potrebbero far saltare la promozione all’ultimo momento.
Così la donna decide di “catechizzare” le due figlie affinché tengano un comportamento assolutamente irreprensibile, evitando ogni possibile situazione equivoca.
Proprio in questo momento decisivo per la carriera di Iman, l’Iran ribolle. Le università della capitale sono attraversate da proteste e movimenti studenteschi. Anche nelle stesse scuole e per le strade il vento della ribellione sembra spirare forte.
Sana e Razeva ,sebbene siano figlie di un funzionario del regime, non possono né vogliono fingere che niente stia succedendo nel loro Paese.
Le notizie ed i video girati dagli stessi studenti e donne mentre sono aggrediti dagli squadroni della morte girano veloci da un cellulare all’altro smentendo la propaganda del regime.
La quiete della “famiglia normale”, lentamente viene meno, dando vita a vivaci confronti generazioniali tra la madre filo governativa e le due figlie.
Quando Sanafa, amica e collega di Razeva, viene aggredita e picchiata quasi mortalmente dalla polizia durante una retata nei dormitori dell’Università, Razeva non esita un attimo a portala a casa.
La madre vedendo il volto insanguinato della giovine, mentre amorevolmente la medica, per la prima volta sul suo volto appare il dubbio, lo sconcerto di fronte alla barbara repressione della polizia.
Ormai il grado di tensione tra la madre e le figlie è molto forte, ma nulla sarà in confronto a ciò che accadrà da lì a poco.
Il personaggio di Iman rimasto finora ai margini dopo il bel inizio, si prende il centro della scena a tutti i livelli, quando l’uomo si appresta ad andare al lavoro, cerca la pistola che dà qualche tempo porta a casa per motivi di sicurezza.
La pistola è introvabile ed il responsabile del furto non può non essere che un componente della sua famiglia.
Razev è la sospettata numero uno , essendoci stata la sera precedente alla scomparsa della pistola, un duro scambio con il padre, in cui la figlia aveva accusato Iman, quale rappresentante delle istituzioni ,di avere le mano sporche di sangue di giovani innocenti.
Il mondo e soprattutto la psiche di Iman si sgretola rapidamente, non potendo l’uomo accettare di perdere la propria credibilità professionale e che le sue stesse figlie possano mettere in dubbio la legge e volere di Dio.
Inizia così una folle e contorta operazione verità che passa dal sottoporre moglie e figlie all’umiliante quanto angosciante interrogatorio da parte dell’esperto in torture psicologiche.
Ma per Iman, l’unica strada possibile è ottenere una piena confessione dal responsabile del furto.
Così convince la famiglia a scappare via da Teheran, rifugiandosi nella vecchia casa nel deserto.
Da questo preciso momento il regista Mohamed Rasoul cambia ancora genere e ritmo al film, riscrivendo ed adattando al deserto e all’Iran, le iconiche e terrorizzanti scene di Shinnig.
Lo spettatore si ritrova a seguire , palpitare per mix narrativo ed emotivo magistralmente scritte, girare e rese magnificamente da un cast artistico di grande valore e carisma, creando le condizioni per un finale tragico quanto liberatorio.
I regimi prima o poi sono destinati a cadere , sarebbe auspicabile il prima possibile.
Stasera dalla Croisette è partita un importante spallata , probabilmente, a forma di Palma d’Oro.
Vittorio De Agrò (RS)