In concorso un omaggio a Marcello Mastroianni, icona d’oltre Alpe
(da Cannes Luigi Noera e Maria Vittoria Battaglia con la gentile collaborazione di Vittorio De Agrò (RS) – le foto sono pubblicate per gentile concessione del Festival di Cannes)
COMPETITION
MARCELLO MIO di Christophe HONORÉ
Sinossi: Interpretando una versione di se stessa, Chiara Mastroianni assume l’identità del padre Marcello Mastroianni, vestendosi, parlando e respirando come lui
Recensione: Incipit – sul set cinematografico a Parigi per commemorare Marcello Mastroianni una regista nevrotica dirige la figlia Chiara. Quanto è duro il mestiere dell’attore alle prese con registi talvolta di questa pasta! Sulle note della battuta famosa “Marcello come here” la regista chiede a Chiara di essere più Marcello e meno Catherine! E’ nota la somiglianza di Chiara ai suoi illustri genitori ma è anche se stessa. E’ il peso di una eredità ingombrante e per liberarsene Chiara interpreta in maniera splendida ed affascinante suo padre per essere se stessa in questo film che è un omaggio al cinema italiano.
La premessa non è solo che Chiara somiglia a suo padre, ma che è sempre stata nell’invidiosa posizione di essere la figlia di due divi del cinema – ma anche con una illustre carriera propria che annovera registi importanti tra cui Manoel de Oliveira, Raul Ruiz e Claire Denis.
Marcello Mio è una metafiction affettuosa ma arcana dello scrittore-regista francese Christophe Honoré. Chiara Mastroianni interpreta se stessa che sconcerta i suoi cari, inclusa sua madre Catherine Deneuve (interpretata da Catherine Deneuve), “diventando” suo padre.
Con la sensazione di essere diventata il fantasma di suo padre, Chiara sembra attraversare una crisi di personalità – o meglio si imbarca in un progetto artistico di performance, indossando un abito nero, occhiali cerchiati di corno e un cappello per assomigliare a Marcello dell’icona 8 ½ di Fellini. Si impegna a parlare italiano e chiede a tutti di chiamarla Marcello, con sconcerto e talvolta turbamento di Deneuve, Se al suo nuovo compagno l’attore-cantante Benjamin Biolay questo travestimento non arreca nessun imbarazzo per il suo ex nella vita reale di Chiara, l’attore Melvil Poupaud non è lo stesso. L’eminenza del cinema francese Fabrice Luchini, invece, si lancia con entusiasmo in tutta l’avventura in cui Chiara lo coinvolge.
Soprattutto è un omaggio al padre Marcello! Un film che fa sognare tempi che furono, così come l’ingresso nella storia del sergente malinconico britannico (Hugh Skinner) che nella notte tenta un maldestro tentativo di gettarsi sulla Senna e diventa pretesto per rinvigorire la trama.
Questa prevede diverse deviazioni, tra cui un concerto dal vivo di Biolay in cui canta come Marcello e un viaggio in Italia.
E non manca la stoccata verso il governo Meloni!
Il film prende il volo con Stefania Sandrelli invitata ad uno show demenziale della RAI A ruota libera.
Di volta in volta irriverente e poetico, demistificante e appena un tocco riverente, il film prospera grazie alla sincera collaborazione di Deneuve e degli altri luminari che interpretano se stessi.
Ci sono alcuni momenti comici taglienti. La Deneuve si annuncia al proprietario del suo vecchio appartamento, riceve un caloroso benvenuto.
Deneuve è notoriamente abile nel trasmettere la propria immagine e dà una svolta allegramente geniale, mentre Luchini si prende gioco di sé in modo malizioso come un damerino verbosamente erudito.
Nel finale il film si perde in una sceneggiatura debole. Sotto questo aspetto il finale dove partecipano tutti gli amici di Marcello e di Chiara che si ritrovano all’hotel di Formia dove Mastroianni soleva andare e la madre Catherine Deneuve che esprime il suo disappunto per vedere nella figlia l’amore della sua vita: Marcello mio!
QUINZAINE
EAST OF NOON (Sharq 12) di Hala Elkoussy
Sinossi: storia allegorica di un musicista e di una cortigiana che usano l’arte per ribellarsi ai loro antenati.
Recensione: East Of Noon cattura il fermento giovanile sotto il dominio autocratico in Egitto, grazie alla storia dell’ambizioso giovane musicista Abdo che desidera lasciare il suo paese senza futuro insieme alla sua compagna Nunna. Il ribelle Abdo è sempre nei guai con le autorità locali, che costringono la sua saggia nonna, Galala, voce narrante, a proteggerlo dalle ritorsioni. La surreale realtà grazie ad un montaggio strepitoso trasforma una storia di rivolta giovanile in una satira fervente ed evocativa capace di affrontare argomenti tabù.
Il bianco e nero con la consistenza dei 16mm conferisce un tono cupo e fantasioso alla storia di Abdo. Questo trascorre gran parte del suo tempo chiuso nella sua stanza, creando musica con oggetti domestici (radio, pipe, sandali, macchina da scrivere, ecc.) o facendo lavori saltuari, come scavare fossati per tombe e tesori.
La pellicola ci da una trama della vita quotidiana grazie al negozio di Galala, dove le persone possono impegnare o scambiare oggetti con le tante cianfrusaglie che adornano le sue pareti. Pezzi come orologi, giocattoli ed elettrodomestici. Sebbene sia girato principalmente in bianco e nero, East Of Noon presenta occasionali flash back a colori. Queste sequenze – che portano con sé il tipo di immaginazione di evasione che Galala sostiene che Abdo abbia – si svolgono in riva al mare, lontano dai confini polverosi e squallidi della città. Altre sequenze oniriche in bianco e nero, in cui persone mascherate da animali inseguono Abdo, spesso ricordano il senso surreale di Fellini, dove i confini tra la dura realtà e i ricordi da incubo si scontrano.
Nonostante il suo carattere etereo rivolto al soprannaturale, East Of Noon rimane piantato nella vita reale, anche nella sua trasgressività. Copre senza tabu le questioni dello stupro, dell’aborto e del lavoro sessuale in un mescolanza della storia del Paese nel quale i governanti autocratici di questa città impoverita non vogliono solo controllare Abdo, ma vogliono spezzarlo, estinguere la sua fiduciosa innocenza. E sembra che potrebbero farlo prima che Abdo, con l’aiuto di una testarda Nunna, riacquisti la sua tenacia. Lo sconvolgimento finale in un caotico sgretolamento dell’ordine sociale che vede i giovani finalmente imbracciare le armi, caratterizza un film coraggioso che lascia il segno nello spettatore.
Ghost Cat Anzu di. Yoko Kuno e Nobuhiro Yamashita
Sinossi: adattamento dal manga di Takashi Imashiro, che segue la turbolenta amicizia tra una ragazza e un gatto fantasma, che funge da suo tutore quando viene mandata a vivere con il nonno monaco di campagna.
Recensione: E’ la storia di una ragazzina undicenne Karin affidata dal suo inetto padre Tetsuya rimasto vedovo al nonno monaco che vive nel tempio con il gatto fantasma (da cui il titolo della pellicola). La storia soffre della poca esperienza degli autori, ma è distintiva il suo tono ingannevolmente abrasivo e le deviazioni selvagge della storia. Soffre leggermente di problemi di ritmo e di un ingombrante cambiamento di tono nel terzo atto, virando da un pericolo tenero e disinvolto a un assalto demoniaco completo.
Adattato dal manga Bakeneko Anzu-chan di Takashi Imashiro, il film è il debutto alla regia di Yôko Kuno, un talento emergente nell’animazione e creatrice di manga. Questo gatto fantasma ha gli artigli e, nonostante il suo aspetto affabile probabilmente non è adatto al pubblico più giovane. Dopotutto, questo è un gatto, la cui risposta al furto della sua bicicletta è esplicitata in una furia tagliente piena di rabbia.
Gli appassionati di animazione, tuttavia, rimarranno probabilmente affascinati dall’uso creativo del rotoscoping nel film, che conferisce una rara autenticità alle interpretazioni dei personaggi.
Fin dall’inizio, la colonna sonora divertente e il romanticismo sbiadito dal sole delle illustrazioni di sfondo (la storia si svolge principalmente in una sonnolenta cittadina costiera) funzionano in contrasto con gli aspetti più duri della storia.
Il film inizia con padre e figlia che arrivano in treno in una località sede dei Templi buddisti. E’ tornato a casa dall’anziano padre monaco e subito va al dunque della sua visita chiedendogli dei soldi per saldare un debito contratto. Come detto a casa dell’anziano padre da tanti anni vive il Gatto Anzu detto Fantasma perché è sopravvissuto a tante vite (le sette vite dei gatti!) e si comporta come un essere umano in apparenza gioioso.
Comprensibilmente intristita la giovane Karin non è immediatamente ricettiva al suggerimento di suo nonno che Anzu, il grande gatto fantasma ridacchiante e flatulento, debba fungere da suo compagno e tutore. D’altra parte Anzu ha un programma fitto di impegni: un elenco di clienti che praticano massaggi, e nel tempo libero perde enormi quantità di denaro giocando a pachinko e ha scontri con la polizia locale per violazioni del codice stradale.
Dopo toni da commedia nella gran parte della storia questa prende una svolta inaspettata, quando gli amici scoprono un portale per l’inferno attraverso il lavandino di un bagno pubblico. Non è chiaro se la stessa regola del nove si applica ai gatti fantasma, ma probabilmente ad Anzu sono state strappate parecchie vite entro la fine dell’atto finale inaspettatamente violento.
Lo spettatore assiste alle avventure tra loro slegate di Karin e del Gatto Fantasma insieme a tutti gli animali che popolano la Regione dei Templi e per noi occidentali è difficile comprendere appieno lo spirito di un cartoon così complesso e pieno di spunti.
E così che di storia in storia l’anziano monaco nonno di Karin li conduce alle porte dell’inferno alla ricerca dell’anima della mamma morta improvvisamente.
A noi è sembrata una visione materialista della vita!
Luigi Noera