#CANNES77 – 14/25 maggio 2024 SPECIALE #17 (DAY6). Lo sguardo critico di Vittorio De Agrò dal Palais

Kirill SEREBRENNIKOV con le sue favole non convince, Kevin Costner da nuova vita al WESTERN

(da Cannes Luigi Noera e Maria Vittoria Battaglia con la gentile collaborazione di Vittorio De Agrò (RS) – le foto sono pubblicate per gentile concessione del Festival di Cannes)

COMPETITION

THE SUBSTANCE di Coralie FARGEAT

Sinossi: Una versione femminista e cruenta del body horror

Recensione: Il tempo può  essere  un fido alleato quanto un  avversario imbattibile, ma l’equilibrio  di madre Natura non dovrebbe essere mai interrotto.Povero uomo, colui che si illude  di sostituirsi ad essa;  l’uomo deve accettare il trascorrere del  tempo  ed il cerchio della vita.

La vanità, l’egocentrismo, il voler affascinare ed essere osannato riguarda  in egual misura sia l’uomo quanto la donna. Ma se quest’ultima è  un attrice di 61 anni  che ha avuto  una carriera importante alle spalle tanto da meritarsi una stella nella celebre Hollywood  fame ed un presente da conduttrice  di un programma di aerobica molto seguito,  tutto si complica maledettamente.

Elizabeth  Sparkle  è  l’attrice in questione, interpretato  anima e soprattutto corpo  e midollo osseo dalla rediviva e tosta  Demi Moore, che ha segnato  in modo indelebile  Cannes 2024.

Quando Elisabeth viene licenziata dal programma dal maschilista  e gretto produttore (uno straordinario  Denis Quad) si trova ad un bivio della propria  esistenza: rassegnarsi o lottare  accettando qualsiasi  aiuto possibile. L’aiuto misterioso quanto insperato arriva dopo aver sfiorato la morte in un incidente stradale, un giovane medico gli lascia una chiavetta usb con numero da chiamare. La chiavetta svela alla protagonista il programma “the substance ” che garantisce  alla persona , d’avere una versione di se: più bella, giovane, attraente , fascinosa. E’ la nuova frontiera del tecnicismo!

La procedura per iniziare  il programma  è  delicata quanta dolorosa dovendo auto farsi una puntura midollare. Il risultato  però  è  garantito, ma seguendo poche quanto ferme regole . Tenere ben presente queste regole nel continuare la  visione del secondo film di Coralline Fargeat che dopo il sorprendente  e positivo esordio in “The Revenge” del 2017, si conferma una regista  coraggiosa, ambiziosa  e dotata di talento nel buttarsi  nella riformulazione del genere body horror  in chiave femminista.

The substance  cambia letteralmente pelle, tono , corpo diverse volte nel corso di uno script che non ha alcun timore di osare, provocare, strizzando l’occhio agli istinti  più bassi dell’uomo. Allo stesso tempo però evidenzia la fragilità e solitudine della donna di fronte al giudizio bieco e frettoloso, facendola sentire in colpa ed in dovere di fare ogni cosa per apparire sempre giovane ed attraente.

The Substance si basa drammaturgicamente attingendo a piene mani ad  alcuni classici letterari come “il ritratto di Dorian Gray”di Oscar Wilde e “Lo strano caso del Dr Jekill e Mr Hyde” ed a livello cinematografico  del Cult come “La Mosca “di David Croneberg e “Carrie , lo sguardo di Satana” di Brian De Palma.

Coralline Fargeat  ci mette ovviamente del proprio  a livello creativo, ritagliando i personaggi di Elisabeth  e Sue come vestiti  fatto su misura per la Moore e la Qualley.

Ne esce fuori un legame , un rapporto indissolubile, morboso, letteralmente  simbolico, la cui fine non può  non essere che tragica. Sul livello della tragedia  e come metterla in scena, la Fargeat  compie, una giravolta trash horror  in chiave autoriale. Il film poteva durare 25 minuti di meno ed il finale scelto avrebbe avuto lo stesso liberatorio effetto.

I veri mostri sono quelli che giudicano una persona non dal talento, ma dalla bellezza  esteriore. Le bellezza, la giovinezza  hanno si entrambi una scadenza, ma rinviare il momento  in modo artificiale, quello si che rende mostruoso. Forse la storia di Elisabeth, servirà  da terrificante  ed efficace esempio.

LIMONOV – THE BALLAD di Kirill SEREBRENNIKOV

Sceneggiatura basata sull’omonimo romanzo di Emmanuel Carrère

Sinossi: Allo stesso tempo attivista, rivoluzionario, dandy, delinquente, maggiordomo o senzatetto, era un poeta arrabbiato e bellicoso, un agitatore politico e romanziere della sua stessa grandezza. La vita di Edouard Limonov, come una scia di zolfo, è un viaggio tra le affollate strade di Mosca e i grattacieli di New York, dai vicoli di Parigi fino al cuore delle carceri della Siberia nella seconda metà del XX secolo

Recensione:

Chi è stato Ėduard Veniaminovič Savenko in arte Eddy Limonov?

Un lavoratore, un dissente, un maggiordomo, poeta, scrittore ed infine politico ci dice lo stesso protagonista nell’overture del film

Non è semplice etichettare la controversa e complicata vita di un uomo che si sentiva fin da ragazzo destinato a fare grandi cose e lasciare il segno del proprio passaggio.

Limonov nato a Karkiv (seconda città dell’Ucraina oggi tristemente nota), orgoglioso delle sue origini ucraine, mostra fin da ragazzo di possedere un talento per la poesia e scrittura. Dopo aver lavorato come operaio per vivere, il giovane Limonov lascia Karkiv e la sua ragazza, trasferendosi a Mosca per conquistare anche lì l’agognato successo.

Ma più del successo, una sera durante un simposio, Limonov incontrerà la bellissima e disinibita Elena, che sarà la donna della sua vita o meglio quella per cui il poeta soffrirà le più terribili delle pene d’amore.

Eddy ed Elena vivono una storia appassionata, travolgente, in cui l’alchimia di animo e corpo è perfetta.  Elena rinuncia a tutti i privilegi d’essere la donna di un uomo ricco, per sposare il celebre quanto squattrinato poeta Limonov.

Raggiunta la fama in patria, Limonov per diventare veramente famoso e ricco e necessario che ottenga il successo in Occidente. E dove se non negli Stati uniti?

Ma se fin qui, il racconto della vita fatta dallo stesso Limonov nelle vesti di voce narrante è impetuoso, vincente e felice, il trasferimento a New York segna l’inizio di un periodo cupo, malinconico, umiliante per le aspirazioni dell’uomo prima ancora dell’artista Limonov.

New York ed in generale l’Occidente sembra non riconoscerne il talento, mettendo in crisi le certezze dell’artista. E soprattutto da quando l’amata Elena ha iniziato una breve quanto fulminante carriera da modella, le loro strade lentamente quanto duramente si dividono gettando nello sconforto il poeta.

Kirill SEREBRENNIKOV inserisce l’infelicità umana e delusione artistica del protagonista all’interno di una cornice storica e sociale degli Stati Uniti molto difficile e divisa: da una parte si conclude il conflitto in Vietnam e dall’ altra il Paese è investito una crisi economica che sembra piegare l’ottimismo e positività del sogno americano.

Limonov guarda, annotta e riflette su quanto gli accade intorno, assumendo un duplice ruolo: quello di vittima del sistema e dall’altra di fustigatore di una società fondata su valori edonistici ed egoistici.

Limonov pur essendo un dissente del governo sovietico, ha una visione socialista della vita e con tale formazione affronta di corsa gli anni 80 segnati da un ingiustificato entusiasmo e gioia di vivere sopra le proprie condizioni economiche.

Il successo arriverà una volta trasferitosi a Parigi, in Francia, dove pubblicherà ben 15 romanzi. Ma il suo atteggiamento critico e sferzante contro l’Occidente non verrà meno, non accettando “la narrazione” che la fine dell’Unione Sovietica e del comunismo abbia regalato maggiore libertà e ricchezza ai russi.

Limonov -La Ballata è per certi versi un biopic originale, dissacrante, cinico polemico, ma dall’altra è scritto e diretto per un pubblico occidentale, dato che l’intero cast recita in inglese.

Una scelta quella dell’inglese che depotenzia, a mio avviso, la potenza ed il fascino di un russo che dovette umiliarsi prima di farsi amare dall’Occidente.

Dall’altra parte questo biopic non chiarisce i “punti d’ombra” sul pensiero politico di Limonov dopo la caduta del Muro di Berlino ed il ritorno in patria come attivista politico.

Limonov come tanti russi considerava Mikail Gorbaciov come un bastardo traditore, poiché aveva svenduto l’orgoglio ed il prestigio della Russia all’Occidente.

Fondando e dando vita ad un partito politico, oggetto di restrizioni ed arresti da parte del neo presidente russo: un certo Vladimir Putin

BEN WHISHAW scompare dietro i panni del celebre artista, sfoderando una performance intensa, acuta, credibile che potrebbe regalargli, forse, una Palma d’Oro come migliore attore il prossimo sabato.

In conclusione la visione di Limonov è un film complessivamente godibile, interessante nonostante un eccessivo minutaggio e la parte “americana” alla lunga: lenta e ripetitiva.

È un modo stimolante per conoscere e scoprire la figura di Eddy Limonov.

OUT OF COMPETITION

HORIZON, AN AMERICAN SAGA di Kevin COSTNER

Sinossi: Horizon: An American Saga racconta l’espansione americana del West, di preciso ripercorre i 15 anni a cavallo della Guerra Civile, quando il colonialismo bianco si stava affermando a discapito delle popolazione indigene americane. In questo primo capitolo esplora il fascino del vecchio West, approfondendo come l’uomo bianco si sia insidiato in queste terre attraverso sangue, sudore e lacrime, soprattutto dei nativi.

Nel frattempo il Paese è lotta con se stesso, tra il 1861 e il 1865, e sta plasmando quella che sarà la futura potenza degli Stati Uniti.

Recensione: C’era una volta il selvaggio west, C’era una volta il western di Sergio Leone, C’era una volta il genere western capace di sbancare il botteghino per anni appassionando diverse generazioni.

Poi come accade anche nella vita, il western ha perso di fascino ed interesse, scomparendo o quasi dai radar delle grandi produzioni hollywoodiane.

Ma dove il profitto dei produttori ed i gusti del pubblico influenzano e decidano la linea editoriale, ci piace sottolineare come nel 2024 c’è ancora Kevin Costner a “nuotare contro corrente”, difendendo il genere western, mettendo sul piatto 50 milioni del proprio portafoglio personale per realizzare Horizon: American Saga strutturato in 4 episodi.

Il primo dei quattro è stato presentato ieri sera nella sezione fuori concorso di Cannes 2024. I primi due film saranno distribuiti in Italia e nel resto del mondo, il 4 luglio e 15 agosto. Gli ultimi due episodi come dichiarato lo stesso Costner, li girerà contemporaneamente tornando presto sul set.

Va dato atto a Kevin Costner di aver trasmesso tutta la sua passione ed entusiasmo, creando così le condizioni migliori per una forte connessione tra spettatore ed i personaggi della saga.

La saga inizia nel 1859, quando i primi esploratori bianchi stanno prendendo le misure per costruire le fondamenta della città di Horizon. Ma questa semplice ed innocua operazione è vista come un pericolo da eliminare con il sangue da una parte degli apache guidati dall’irruento Pionesay, figlio del capo tribù.

L’inizio di Horizon è subito crudo, feroce, spaventoso nella ricostruzione dell’attacco sferrato dagli apache contro la prima colonia di Horizon . Tutto viene bruciato, distrutto, uccisi barbaramente uomini, donne e bambini, nessuno escluso.

Niente è risparmiato, si salvano dal massacro Francis ed Elisabeth, madre e figlio avendo trovato riparo in un tunnel.

Sarebbe stato però riduttivo identificare i bianchi come le vittime e gli apache come sanguinari nemici, cosi Costner e l’altro sceneggiatore si mossi nella scrittura evitando la distinzione manichea.

Un impianto narrativo sviluppato su più storie ambientati in diversi stati dell’America facendo emergere come anche tra i bianchi ci fossero assassini, violentatori e vili guardoni.

La storia dell’America è complessa, articolata che va vista da diverse angolature e per tale motivo Kevin Costner si è sobbarcato questo gravoso compito, raccontare e spiegare agli americani le origini di una nazione e quanto sangue innocente è stato versato. C’è tensione anche all’interno degli apache, divisi su quale sia l’atteggiamento più opportuno da tenere con i “visi pallidi”.

Horizon è un western solido, classico, non limitandosi come “da copione classico” alle sparatorie e le lunghe cavalcate dei protagonisti, ma costruendo dei rapporti tra i personaggi, creando amicizie ed amori, ma soprattutto sottolineando come in questa storia di sangue e speranza, uomini e donne fecero la loro parte, azzerando quasi completamente le classi sociali. Nel selvaggio western, nessuno poteva permettersi di rimanere con le mani pulite.

Vittorio De Agrò (RS)

Lascia un commento

Top