#CANNES77 – 14/25 maggio 2024 SPECIALE #5 (DAY 2): Lo sguardo critico di Maria Vittoria dalla Croisette

L’empatia connota le aperture di UCR ed SdC, mettendo l’umanità al primo posto

(da Cannes Luigi Noera e Maria Vittoria Battaglia con la gentile collaborazione di Vittorio De Agrò (RS) – le foto sono pubblicate per gentile concessione del Festival di Cannes)

Un Certain Regard

Film di apertura UCR: WHEN THE LIGHT BREAKS di Rúnar Rúnarsson

La storia segue un giovane studente d’arte la cui vita viene sconvolta durante una lunga giornata estiva a Reykjavik.

Recensione: When the Light Breaks è un’opera drammatica e toccante, caratterizzata da una sensibilità rara perfettamente restituita dalle interpretazioni del cast. Il film racconta una storia di amore, dolore e guarigione, abbracciata dall’idilliaco paesaggio islandese e dai suoi colori vibranti.

Il film si apre e si chiude nello stesso modo, con un magnifico tramonto primaverile sulle fredde acque dell’Islanda.

Tra i due tramonti però cambia tutto.

All’inizio davanti a quel tramonto ci sono Una e Diddi, due giovani studenti di arti performative innamorati e con il futuro davanti. La relazione però è segreta, perché lui è fidanzato con la sua amica di infanzia Klara, con la quale ha una relazione a distanza. Tutto sta per cambiare però perché promette a Una, che dorme da lui, che l’indomani partirà per lasciare Klara e loro potranno uscire allo scoperto. Un terribile incidente nel tunnel però cambia tutto, in un modo tragico e inaspettato. Questo evento, che mette fine alla vita di Diddi, sconvolge il gruppo di amici, riuniti nel dolore per la perdita. Una, intrappolata nella sua posizione di amante segreta, è costretta a reprimere il suo dolore per rispetto di Klara, che appare come la fidanzata ufficiale di Diddi.

La tensione emotiva raggiunge il culmine durante una scena di ballo, dove Una, incapace di trattenere ulteriormente il proprio dolore, lo esprime in un modo viscerale e struggente. Sarà proprio Klara a consolarla, un gesto che rappresenta una svolta nella loro relazione e nel percorso di accettazione del lutto. Alla fine, davanti a quel tramonto, in quel letto, ci sono loro due, e non si capisce se lei sa, ma capiamo che in effetti alla fine non conta. Negli sguardi, negli abbracci, nelle sigarette scambiate, le due ragazze trovano l’affetto, l’amore necessario a piangere una persona così cara, pronte per affrontare un domani incerto.

La protagonista Una rappresenta l’emblema dell’alienazione, costretta a nascondere il proprio dolore e a dare spazio alle emozioni degli altri. Il film esplora il suo viaggio interiore e la sua lotta per mantenere la dignità mentre naviga tra sentimenti contrastanti. La relazione tra Una e Klara, che evolve da una tensione sotterranea a un abbraccio consolatorio, simboleggia la capacità umana di trovare connessione e conforto anche nei momenti di grande dolore.

La forza di When the Light Breaks risiede nella tragicità della storia e nella dignità con cui è raccontata, ma è sicuramente nutrita dalla sua straordinaria estetica visiva e dalla profondità delle interpretazioni degli attori. I magnifici tramonti islandesi fanno da sfondo a primi piani intensi, catturando volti tesi e occhi che comunicano emozioni complesse con poche parole. Il minimalismo dei dialoghi contrasta con l’eloquenza delle immagini, creando un’esperienza cinematografica potente e immersiva, invitando gli spettatori a riflettere profondamente sulle dinamiche della perdita e sul modo in cui affrontiamo i cambiamenti nelle relazioni umane.

Semaine de la Critique

Competition – Feature Films

Simon de la montaña (Simon of the mountain) di Federico Luis – Argentina / Chile / Uruguay

La storia di un giovane ventunenne che ritrova uno scopo rinnovato dopo aver stretto amicizia con un gruppo di giovani disabili.

Recensione: Simon of the Mountain è un’opera che sfida le aspettative e le etichette, portando lo spettatore in un viaggio complesso attraverso le sfide dell’adolescenza e le lotte per l’identità. Il film si apre e si chiude con due interviste che incorniciano tutto il film, in cui Simon viene sottoposto a una serie di domande volte a scoprire chi è e quali compiti sa fare: è un aiuto traslocatore, non sa cucinare né pulire il bagno ma sa rifarsi il letto. La prima intervista è condotta su una montagna desolata e battuta dal vento, dove si è unito a un gruppo di giovani disabili in gita. La seconda intervista fa parte di una valutazione psichiatrica. Tra le due si sviluppa la storia di Simon, svelata allo spettatore attraverso i rapporti complessi che ne caratterizzano la quotidianità, con Pehuen e Colo da una parte, con la madre e il suo compagno dall’altra.

Piano piano il regista ci svela che Simon non fa veramente parte del gruppo di giovani disabili con cui fa la gita in montagna che apre il film. Gradualmente vengono mostrati frammenti della sua vita familiare e nei filmini della sua infanzia non troviamo i tic che dice di avere, non ci sono tracce che stia prendendo le medicine che dice di prendere, non esiste un certificato di disabilità. Simon, in realtà, sta fingendo, e Pehuen lo aiuta ad allenarsi per fingere bene e ottenere il certificato di disabilità, mentre intanto l’amicizia con Colo, affetta da sindrome di Down, diventa sempre più che una semplice amicizia. Con il tempo gli scontri con una madre sempre più frustrata, che non riconosce più il figlio, diventano sempre più violenti fino a richiedere l’indervento dei paramedici e degli psichiatri.

Per quanto le due interviste che segnano l’arco della narrazione siano incentrati sul riconoscimento della disabilità, questo non è il tema centrale di Simon of the Mountain, che è in realtà, a detta dello stesso regista, una riflessione sull’adolescenza. Questa chiave interpretativa è fondamentale per comprendere il vero cuore del film, che utilizza la disabilità come una metafora delle lotte universali per trovare il proprio posto nel mondo, la coerenza tra il nostro sguardo sul mondo e ciò che ci si aspetta da noi, l’eterno conflitto che caratterizza la crescita e che ben è sottolineato da un uso evocativo del paesaggio, come ad esempio la tempesta in cui si imbattono sulla montagna.

Simon of the Mountain è un film che, anche se in maniera poco intuitiva o immediata, invita lo spettatore a riflettere sulle sfide dell’adolescenza, l’identità e le aspettative sociali, a diventare consapevole che quelle etichette che sembrano segnare l’esistenza sono solo negli occhi dell’altro.

Maria Vittoria Battaglia

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