
Petites, la vita che vorrei… per te Opera prima di Julie Lerat-Gersant affronta la questione dell’aborto
Presentata al Rendez-Vous del Cinema Francese a Roma e al Giffoni Film Festival, il film vanta già importanti riconoscimenti come il premio Boccalino d’oro e la menzione speciale Cinema & Gioventù al Festival di Locarno.
SINOSSI: Camille (Pili Groyne), 16 anni, si ritrova inaspettatamente in attesa di un bambino e viene mandata dal giudice minorile in un centro di accoglienza per giovani gestanti. Separata dalla madre, amorevole ma tossica, stringe amicizia con Alison (Lucie Charles-Alfred), una giovane ragazza immatura e scapestrata che vive con la piccola figlia Diana nella casa famiglia, e subisce a malavoglia l’autorità di Nadine (Romane Bohringer), un’educatrice tanto appassionata quanto disillusa. Questi incontri finiranno per sconvolgere ulteriormente il suo destino e la sua giovane vita.
RECENSIONE
L’opera prima dell’attrice francese si cala nel delicato contesto delle case famiglia per adolescenti, ponendo il focus sul periodo di gravidanza della 16enne Camille. L’ambientarsi nella nuova struttura provoca molta sofferenza nella protagonista. Tra i metodi rigorosi dell’educatrice Nadine ed il suo essere ancora una “bambina capricciosa”, Camille inizialmente non pensa al bene del bebè che porta in grembo, mantenendo molti vizi potenzialmente dannosi per una gravidanza. L’amicizia con la ragazza madre Alison, le farà prendere una consapevolezza da lei mai avuta. La superficialità che l’amica dimostra nei confronti di sua figlia Diana, fa rivivere in Camille il ricordo della sua infanzia che presenta molte analogie con l’infanzia di Diana, dove la madre era inesistente. Con il passare dei mesi la protagonista dovrà prendere una decisione sul futuro del suo bebè, e lo farà con tutta la maturità e la consapevolezza assunta nel periodo di gravidanza. La casa famiglia, che inizialmente considerava una sofferenza, si era trasformata in un’opportunità di crescita.
Trattare l’argomento delle ragazze madri è molto delicato: vi è sempre una sottile linea – tra coloro che sono favorevoli o meno dell’aborto e la decisione delle madri di affidare il proprio figlio a qualcun altro – che se viene superata può suscitare numerose polemiche. La regista ha l’ottimo intuito di calarsi nel contesto senza un’unica linea fissa di pensiero ma mantenendo la libertà di scelta in ciascuno dei personaggi. Ogni donna ha il diritto di esprimere la propria decisione, e tale scelta non le potrà essere mai negata.
Il contesto delle case famiglia viene rappresentato mostrando più pregi che difetti, in quanto nell’opera il clima che si respira tra le ragazze madri appare fin troppo gioioso. Invece la scelta del carattere severo ma empatico dell’educatrice, è una decisione mirata a valorizzare l’obiettivo primario delle case famiglia: il bene della ragazza madre e di sua figlia.
L’opera mira a raggiungere la commozione nello spettatore, attraverso l’alternarsi di primissimi piani per le scene cariche di drammaticità e campi lunghi nei momenti di transizioni. Ottima interpretazione dell’attrice Pili Groyne, che riesce a far emergere tutta la metamorfosi caratteriale avuta durante la gravidanza.
Stefano Sica