SPECIALE #CANNES75 – 17/28 maggio 2022 #06 (DAY 3): Le incursioni critiche di Marina Pavido sulla Croisette

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Il  film applaudito in concorso Armageddon Time , ovvero l’America degli anni Ottanta insieme a Les Harkis sulla drammatica guerra d’Algeria e le sue conseguenze nella sezione autonoma Quinzaine sono due film indimenticabili

(da Cannes Luigi Noera e Marina Pavido – Le foto sono pubblicate per gentile concessione del Festival di Cannes)
armageddon-time-james-gray-cannes75Un affresco dell’America degli anni Ottanta in una delicata storia famigliare – Armageddon Time
La storia di una nazione vista attraverso gli occhi di un singolo personaggio. Il 1980 è un anno a dir poco cruciale per quanto riguarda la storia degli Stati Uniti d’America. Alla vigilia dell’elezione a Presidente di Ronald Reagan, il giovane Paul (interpretato da Michael Banks Repeta) frequenta una scuola pubblica insieme al suo amico Johnny (Jaylin Webb). Il ragazzo sogna di diventare artista, ma soltanto suo nonno materno (il grande Anthony Hopkins) sembra sostenerlo nelle sue speranze per il futuro. Tutti loro, dunque, sono i protagonisti di Armageddon Time, ultimo lungometraggio del regista James Gray, presentato in concorso a Cannes75.
Armageddon Time, dunque, è una delicata storia famigliare, in cui equilibri precari generano inevitabilmente un disperato desiderio di scappare via lontano. Il sogno americano, unitamente ai desideri del giovane protagonista, gioca qui un ruolo a dir poco centrale.
Paul e Johnny sono due personaggi apparentemente agli antipodi (e, come sappiamo, in un’epoca come la presente era pur sempre un problema essere considerato “diverso): il primo viene da una famiglia benestante, che, malgrado faccia di tutto per garantirgli un futuro luminoso, non riesce mai realmente a comprendere i suoi bisogni. Johnny, invece, è un bambino di colore, che in seguito a determinate vicende, è costretto a vivere in strada.
Due mondi, due diverse realtà che sembrerebbero non riuscire a incontrarsi mai a causa, soprattutto, di ciò che la società si aspetta da ognuno di loro. Il discorso politico si adatta alla realtà dei singoli e ciò che ne viene fuori è un affresco variegato e variopinto di un’epoca cruciale per gli Stati Uniti d’America (e non solo). James Gray ha messo in scena ciò con raffinata maestria, regalandoci un ritratto dell’America degli anni Ottanta ricco e variegato. Il suo Armageddon Time è un vero e proprio fiore all’occhiello del concorso di Cannes75, nonché ulteriore conferma del talento del regista statunitense.
les-harkis-faucon-cannesLa drammatica guerra d’Algeria e le sue conseguenze nel fim Les Harkis presentato alla Quinzaine
La guerra di Algeria (1954 – 1962) ha causato migliaia e migliaia di morti, soprattutto tra chi ha cercato in tutti i modi di ribellarsi alle truppe francesi. Interrogatori, torture, uccisioni hanno fatto da padroni di casa per molti e molti anni, anche dopo il cessate il fuoco indetto dalla Francia. A raccontare tale, drammatico momento storico, dunque, ha pensato il regista Philippe Faucon con la sua ultima fatica, Les Harkis, presentato in anteprima in occasione del Festival di Cannes 2022 all’interno della sezione Quinzaine des Réalisateurs.
Un uomo riceve una cesta con dentro la testa mozzata di suo figlio. Il suo secondogenito si arruola con le truppe francesi di liberazione contro i terroristi indipendentisti fallagha. Saranno anni di dura lotta che si protrarranno per molti e molti anni e che coinvolgeranno anche donne e bambini.
Philippe Faucon ha deciso di mettere in scena tale cruciale periodo storico (concentrandosi principalmente su quattro anni particolarmente significativi, tra il 1959 e il 1962) optando per una narrazione semplice e lineare, con un focus su precisi avvenimenti e lunghi salti temporali e, soprattutto, con un approccio registico privo di ogni qualsivoglia virtuosismo, dove un montaggio (fin troppo) netto rende il lungometraggio a tratti eccessivamente frammentario.
Il regista punta, dunque, all’essenziale. Scene fortemente d’impatto in cui civili vengono torturati o uccisi vedono in un crudo realismo (e, talvolta, in un riuscito fuoricampo) una buona soluzione. Il problema principale di un lavoro come il presente Les Harkis, tuttavia, sta proprio in una regia a tratti “ingenua”, che, malgrado le buone intenzioni, rischia, in determinati momenti, di far perdere l’intero lungometraggio di credibilità. Peccato. Soprattutto perché la storia messa in scena ha indubbiamente un forte appeal e la passione di chi ha realizzato il tutto è decisamente palpabile.

the-woodcutter-story-love-according-to-dalva-cannesSemaine de la Critique

Metsurin tarina (The Woodcutter Story)  In The Woodcutter Story, dunque, la storia messa in scena è quella del falegname Pepe, un uomo sereno e pacato che sembra non chiedere nulla alla vita, se non trascorrere giornate tranquille nel suo piccolo villaggio insieme alla sua famiglia. La sua calma interiore non sembra vacillare nemmeno nel momento in cui una serie di disgrazie si abbatteranno sulla sua vita, stravolgendo completamente ogni equilibrio precostituitosi.

Qual è, dunque, il senso della vita? Con un sottile e raffinato umorismo nero – tipico della cinematografia scandinava – il regista ha realizzato un piccolo e prezioso lungometraggio che, attingendo a piene mani da quanto realizzato in passato (con tanto di esplicite citazioni a pellicole che hanno fatto la storia del cinema) riesce, al contempo, a trovare un linguaggio tutto suo e a regalarci un protagonista (impersonato dall’ottimo Jarkko Lahti) che non dimenticheremo facilmente.

Marina Pavido

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