SPECIALE 68ma #BERLINALE #4 – 15/25 FEBBRAIO 2018: (DAY 1) Inaugurazione con ISLE of DOGS di Wes Anderson

Il film d’apertura – ed in concorso per l’Orso d’Oro – alla 68° edizione del Festival di Berlino, Isle of Dogs è l’ultimo, interessante lavoro del cineasta statunitense Wes Anderson, nonché suo secondo film d’animazione

(da Berlino la fattiva collaborazione di Marina Pavido – Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Berlinale)

Proponiamo del film di apertura , le emozioni di Marina Pavido.  Alla sua uscita dalla sala ci confida con entusiasmo la predisposizione del regista al genere di animazione.

Un elegante stop motion – misto ad immagini che tanto stanno a ricordare le litografie di Hokusai e di Eisen – viene scelto dal regista per raccontarci una vicenda che, apparentemente, può apparirci quasi surreale, ma che, analizzata a fondo, è molto più concreta di quanto possa inizialmente sembrare. Ci troviamo in Giappone, precisamente nel 2037, nella città di Megasaki. Misteriosamente, tutti i cani della città si sono ammalati di un morbo sconosciuto. Il sindaco Kabayashi, un uomo privo di scrupoli, affiancato da un inquietante consigliere che tanto sta a ricordarci il Nosferatu di Friedrich W. Murnau, ha deciso di confinare tutte le bestia in un’isola piuttosto lontana dalla città. Suo nipote – un coraggioso ragazzino di dodici anni di nome Atari – riuscirà, tuttavia a raggiungere l’isola, al fine di ritrovare il suo amato cane Spots. Qui il giovane incontrerà un’altra banda di coraggiosi cagnolini – capeggiata dal burbero ma generoso Chief – che lo aiuteranno nel suo intento.

Non si tratta soltanto di una storia di amicizia tra uomo e animale. O meglio, non solo. Da bravo cineasta continuamente in maturazione qual è, Anderson ha dato vita ad un prodotto molto più complesso e stratificato di quanto inizialmente possa sembrare. E quindi non è solo l’importanza dei nostri amici a quattro zampe ad essere messa in scena, bensì soprattutto sono i danni dell’uomo – con non troppo velati riferimenti al disastro di Fukushima – a fare da filo conduttore in Isle of Dogs. L’uomo, la macchina, le fabbriche, l’inquinamento sono tutti fattori che non hanno fatto altro che danneggiare ciò che di prezioso in natura avevamo. Una storia dal respiro universale, che, anche se ambientata in un ipotetico futuro, potrebbe funzionare perfettamente in qualsiasi periodo storico. Una storia che, a tratti, si ispira persino ad Antoine de Saint-Exupéry e dove sono i sentimenti più puri a trionfare, evitando, però, ogni pericolosa retorica.

Ad arricchire una già di per sé soddisfacente messa in scena, vi sono suggestivi momenti di rappresentazioni di teatro Kabuki, i quali non fanno altro che completare una fedelissima ricostruzione del Giappone, con atmosfere rese ancora più vive da un commento musicale firmato Alexandre Desplat (il quale, fortunatamente, questa volta ha evitato di “strafare”, mantenendosi sì moderato, ma anche incredibilmente incisivo, con un leit motiv essenziale di tamburi che quasi vogliono stare a scandire i movimenti di ogni singolo personaggio).

Con un vero e proprio crescendo qualitativo della sua filmografia, Wes Anderson, dunque, riesce nuovamente a stupire, rivelandosi capace di gestire ogni singolo aspetto della messa in scena, senza mai rivelarsi scontato. Insieme all’ottimo Moonrise Kingdom (2012), probabilmente Isle of Dogs può classificarsi di diritto come uno dei suoi lavori maggiormente riusciti. Che sia proprio l’animazione il campo in cui Anderson riesce a dare il meglio di sé?

Marina Pavido

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