Speciale #ROMAFF12 – INCONTRI RAVVICINATI: Christoph Waltz

Dal nostro inviato speciale Stefano Coccia al quale va il nostro grazie

Ennesimo momento di gloria, per uno dei più apprezzati interpreti di Bastardi senza gloria: nato a Vienna da genitori tedeschi, Christoph Waltz durante l’incontro avvenuto il 26 ottobre all’Auditorium ha confermato di essere non soltanto un attore sopraffino, ma anche un uomo arguto, di vasta cultura e dagli interessi cinematografici tutt’altro che banali.

Vieppiù la brillante conversazione tra lui e Antonio Monda, direttore della Festa del Cinema, è stata intervallata da spezzoni di alcuni tra i lungometraggi più rappresentativi della sua carriera, cui si sono aggiunte verso la fine sequenze emblematiche dei cosiddetti “film del cuore”, anch’essi indice di un gusto cinematografico molto ben educato. Tra Fellini e Kurosawa, vere e proprie chicche.

Quel che vi andremo pertanto a proporre è solo una piccola sintesi della bella intervista di Monda a Christoph Waltz, condotta davanti al pubblico della Sala Petrassi con toni senz’altro più rilassati e meno inquisitori, rispetto a quanto avrebbe potuto fare il Colonnello Hans Landa delle SS in casa di partigiani francesi, stando a uno dei personaggi più incisivi portati dal Nostro sul grande schermo.

Antonio Monda: Cominciamo magari dal rapporto con Tarantino, perché ci incuriosisce molto sapere come ti sei trovato a interpretare i suoi film, se ti capita di improvvisare qualcosa e quale importanza abbia la sceneggiatura, nel suo fare cinema.

Christoph Waltz: Rispetto a noi attori Tarantino è sempre un passo avanti, c’è già tutto nella sua testa, il che si riflette in sceneggiature dove trovi ogni cosa e basta seguire quella traccia, comprese le virgole.

Può sembrare quasi sciocco sottolinearlo, ma per quanto lui curi così bene la componente visiva, è proprio lo script il punto di forza dei suoi film. Lì come attore  trovo tutto ciò che mi serve. E nonostante mi venga frequentemente chiesto se i personaggi che interpreto siano frutto anche dell’improvvisazione, direi proprio di no. Anzi, vorrei aggiungere che l’intera faccenda dell’improvvisazione andrebbe ridimensionata, nel cinema, specie con certi autori…

AM: C’è invece qualche film che avresti voluto assolutamente dirigere?

CW: Beh, mi può capitare di notare in qualche film del potenziale non pienamente espresso, per cui riconoscendo il valore del soggetto penso magari a come avrei affrontato io la realizzazione di certe scene, ma le mie considerazioni si fermano lì. Perché so bene tutto il lavoro che c’è dietro e lo rispetto.

AM: Approfittando delle clip già viste ovvero gli estratti di Bastardi senza gloria e The Legend of Tarzan, per cui voglio ringraziare Nicola Calogero che si è occupato del montaggio, vorrei chiederti ora: quanto ti senti legato al ruolo del cattivo?

CW: Quelli di cui parliamo sono a volte cattivi divertenti, con un loro versante comico, grottesco, ma pur sempre cattivi.

Però ci tengo a dire che ho lavorato qualche decennio, prima di finire a Hollywood, facendo altri film, teatro, programmi televisivi. E ovviamente non ho interpretato sempre la parte del cattivo!

Quando sono arrivato al successo con certi ruoli, mi è capitato di interpretarli più spesso, anche perché a quel punto si innesca un meccanismo per cui gli stessi film vengono finanziati con maggiore facilità, se ad esempio si viene a sapere che ci sarò io nei panni del “villain” di turno. Dietro alcune proposte ci sono quindi anche ragioni commerciali.

A parte questo, posso però confermare che interpretare il “cattivo” può essere infinitamente più divertente!

AM: La clip successiva che abbiamo or ora mostrato è una bellissima scena di Carnage. Ci sono differenze importanti, nel lavorare con Polanski? E ci sono parti di spessore, andate ad altri attori, che ti sarebbe piaciuto interpretare?

CW: Per quanto riguarda Roman Polanski, fermo restando che anche nel suo caso parlare di improvvisazione di senso ne ha poco, non ho riscontrato caratteristiche così differenti a livello di metodo, semmai è una personalità di tale levatura a fare la differenza .

Rispetto all’altra domanda direi di no, anche perché trovo che parlarne sia una cosa scorretta, di quelle che possono mettere in imbarazzo l’altro attore chiamato in causa.

AM: Di recente ti abbiamo visto anche in Downsizing, che da molti non è stato accolto bene a Venezia. Come ti spieghi che le sfumature maggiormente comiche di certi film e dei relativi personaggi ricevano meno lodi dai critici?

CW: Semplice, tutto ciò accade perché i critici proprio non capiscono.

Aristotele ha scritto sia sulla Tragedia che sulla Commedia, ma la parte sulla Commedia è andata perduta, purtroppo…

Forse i critici sono tutti aristotelici cui manca qualcosa.

AM: Ci sono star del passato cui vorresti o cui senti di assomigliare?

CW: In realtà è una domanda complessa. I nomi cambiano, nel corso del tempo…

Quando avevo circa 20 anni pensavo che il più grande di tutti fosse Marlon Brando, ad esempio, ma poi andando avanti e rivedendo certe apparizioni cinematografiche mi sono accorto che nel prosieguo della sua carriera c’erano cose che non mi piacevano un granché, mentre altri personaggi continuavo ad amarli molto, vedi Il Padrino.

La verità è che i punti di riferimento si spostano di continuo. E l’ammirazione non dovrebbe mai diventare un’ideologia.

AM: Venendo ai tre film che qui hai scelto per rappresentare al meglio i tuoi gusti, accanto a scelte in ogni caso lodevolissime come I vitelloni di Federico Fellini e  Vivere di Akira Kurosawa, spicca la presenza di un lungometraggio, peraltro molto bello, che non rientra tra i più conosciuti di Francesco Rosi neanche in Italia, ovvero Il momento della verità. Complimenti. Ma come hai fatto a scoprirlo?

CW: Esiste negli Stai Uniti un bellissimo portale, che si chiama FilmStruck (https://www.filmstruck.com/, N.D.R.) e che potrebbe interessare molto anche agli spettatori italiani oggi presenti, a mio avviso, specializzato proprio nel cinema d’essai. Vi si possono trovare tanti classici del passato, anche quelli meno noti al grande pubblico. Ed è lì per esempio che ho scoperto tempo fa questo film di Rosi dal quale sono rimasto molto colpito, soprattutto per quanto concerne la parabola esistenziale del protagonista. Trattasi di un giovane molto povero che, in quella cornice di forza sottoposta a ritualizzazione che la corrida può rappresentare, affronta un curioso percorso di formazione per arrivare poi a proporsi con un certo talento come torero, dopo essersi allenato per conto suo e aver tentato la sortita nell’arena.

AM: Vi è quindi un trait d’union tra i personaggi e le storie dei tre film che hai scelto?

CW: Sì, perché sono tutte storie di persone che nel loro piccolo si sforzano di cambiare le cose, di  incidere almeno un po’ nel loro tempo e nella società in cui si vivono. L’obbiettivo di ciascuno di loro è dunque lasciare un segno, seppure da angolazioni diverse.

Assaporati questi e altri intelligenti, calibrati, accorti interventi da parte di Christoph Waltz, il pubblico si è congedato da lui con un caloroso applauso. E lui, persona squisita oltre che raffinato interprete cinematografico, si è trattenuto pure il tempo di firmare alcuni autografi, stringere mani, farsi fotografare. Con la raccomandazione, tutt’al più, di evitare selfie e altre abusate pratiche da social a lui non particolarmente gradite. Una richiesta legittima e garbata, alla quale non sappiamo in quanti si siano attenuti. Ma questo è solo un dettaglio, a margine di un incontro che pare aver lasciato nel pubblico dell’Auditorium sensazioni positive e ottimo materiale su cui riflettere.

Dall’Auditorium Parco della Musica Stefano Coccia

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