Presentato in anteprima alla 12° edizione della Festa del Cinema di Roma, Abracadabra è l’ultimo lungometraggio – dopo l’interessante Blancanieves, omaggio ai fratelli Grimm ed al cinema muto – del cineasta spagnolo Pablo Berger.
Ci troviamo nella periferia di Madrid. Carmen è una casalinga frustrata, che da anni vive una crisi coniugale a causa di un marito scontroso e distratto, Carlos, il cui unico interesse è il Real Madrid. Un giorno, durante una festa di matrimonio, l’uomo viene sottoposto ad un esperimento di ipnosi da un parente che si diletta nell’esibirsi in spettacoli di magia. In seguito a tale esperimento, però, le cose prenderanno una piega inaspettata e lo spirito di un pericoloso (ma estremamente gentile e galante) serial killer vissuto trent’anni prima finirà per impossessarsi del corpo di Carlos.
Per le atmosfere, per la regia che tende sapientemente a giocare con sguardi e riflessi e, soprattutto, per la spiccata componente comica e surreale tendente decisamente al grottesco, inevitabilmente questo lavoro di Pablo Berger ci fa pensare ad un Alex de la Iglesia al massimo della forma. L’Alex de la Iglesia di Azione mutante (1993) o di Le streghe sono tornate (2013), per intenderci. E, analogamente a quest’ultimo film, anche Abracadabra tende a partire in quarta con una sfilza di gag esilaranti, per poi rientrare nei margini e portare avanti la storia raccontata usando dei toni decisamente più contenuti. Dopo le risate iniziali, infatti, ecco che, pur mantenendo una forte componente ludica, Berger sembra voler quasi dare un attimo di respiro allo spettatore, per poi sviluppare, successivamente, una storia che pian piano sembra sempre più assumere i toni del thriller. Il risultato finale – grazie ad un ribaltamento tanto interessante quanto inaspettato – è un vero e proprio manifesto dell’emancipazione femminile, che, anche nel 2017, risulta sempre attuale ed appropriato. Ovviamente, da grande cinefilo quale è, Berger, pur non avendo dato vita ad un esplicito omaggio al cinema del passato, come è avvenuto per Blancanieves, anche in questo suo ultimo lavoro non ha esitato ad attingere a piene mani da ciò che nei decenni scorsi è stato prodotto. Impossibile, ad esempio, non pensare ad Edipo relitto – fortunato cortometraggio del 1989 firmato Woody Allen e facente parte del progetto collettivo New York Stories – quando avviene l’incidente dopo l’esperimento di ipnosi, o, allo stesso modo, non si può non ricordare il grande Alfred Hitchcock, quando vediamo la macchina da presa giocare con sguardi riflessi su coltelli o con specchi collocati nei punti giusti. Il tutto, però, viene realizzato in modo assolutamente soggettivo, senza mai apparire forzato, ma risultando, al contrario, perfettamente in linea con il resto del lavoro.
Siamo d’accordo, Abracadabra, pur confermandosi un prodotto ben realizzato e ben riuscito, non riesce a reggere il confronto con un lungometraggio come Blancanieves. Ma, d’altronde, un esordio del genere può spesso rivelarsi un’arma a doppio taglio e non sempre è facile mantenersi, nel corso degli anni, sullo stesso livello. Eppure, oltre ad essere un prodotto complessivamente gradevole e ben realizzato, Abracadabra è soprattutto un’ulteriore conferma dell’eccezionale talento di Pablo Berger, il quale ha dimostrato grande abilità nel passare da un registro all’altro restando, ogni volta, perfettamente a proprio agio all’interno del progetto stesso. Cosa, questa, di certo non da tutti.
Marina Pavido