
Presentato in anteprima all’interno della Selezione ufficiale alla 12° Festa del Cinema di Roma, The Movie of My Life è l’ultimo lungometraggio del regista brasiliano Selton Mello, tratto dal romanzo A Distant Father di Antonio Skarmeta.
Tony Terranova – figlio di un francese e di una brasiliana – è un giovane insegnante con la passione per il cinema e per la poesia. Una volta tornato, dopo aver concluso gli studi, a Remanso, suo paese di origine, scoprirà che suo padre ha improvvisamente abbandonato la madre, la quale viene incessantemente corteggiata da un vicino di casa. Anche Tony, a sua volta, scoprirà l’amore. Questo suo percorso di crescita, però, non sarà sempre facile.
Ѐ una voce fuoricampo – con dei binari in mezzo alla campagna che ci appaiono sullo schermo – ad introdurci, dunque, le vicende del giovane protagonista. E, così, fin da subito, grazie ad una messa in scena pulita e priva di fronzoli, che – unita ad una fotografia che tanto ci ricorda Novecento del nostro Bernardo Bertolucci (senza particolari riferimenti a Pelizza da Volpedo, però) – sa ben realizzare le ambientazioni e le atmosfere della provincia brasiliana degli anni Sessanta, ci troviamo perfettamente a nostro agio all’interno di una storia nella quale un po’ tutti riusciamo ad identificarci.
Tony, il giovane protagonista, è un eterno sognatore, sensibile ma determinato, che non riesce a comprendere il motivo per cui suo padre abbia deciso di sparire completamente dalla sua vita e da quella di sua madre. Il primo confronto con il cosiddetto “mondo degli adulti” sarà, dunque, molto più doloroso del previsto, sebbene edulcorato dalla scoperta dell’amore e, soprattutto, dal cinema stesso, luogo in cui il protagonista è solito rifugiarsi per vedere e rivedere il classico di John Ford Fiume Rosso ed estraniarsi, per un attimo, dalla realtà che lo circonda. Ed ecco che anche lo spettatore viene immediatamente rapito dalle pellicole che, numerose, riempiono la cabina di proiezione o dagli ingranaggi del proiettore stesso, oltre che, appunto, dalle emozioni provate, ogni volta, dallo stesso Tony. Sono questi, probabilmente – grazie anche ad un montaggio che ben sa coniugare musica ed immagini – i momenti meglio riusciti di tutto il lungometraggio. Momenti in cui l’autore stesso ha voluto a proprio modo fare una sorta di dichiarazione d’amore alla Settima Arte. Eppure, The Movie of My Life, non funziona solo per questo.
La struttura circolare qui utilizzata, ad esempio, è un altro dei numerosi fattori che hanno fatto di questo lavoro di Mello un buon prodotto. Nel momento in cui, durante la scena finale, rivediamo i binari inquadrati all’inizio, abbiamo ben presente il concetto della ciclicità della vita (e delle tappe di crescita obbligate che ognuno di noi prima o poi vive in prima persona), che Mello ha voluto rappresentare. Quasi come se l’autore volesse, in qualche modo, “allontanarsi” dalla storia raccontataci, o meglio, quasi come se volesse osservarla con maggiore distacco, presentandocela come una storia universale, come la storia di ognuno di noi. La storia si ripete, ma, alla fin fine, tutto resta invariato. Tutto scorre, perfettamente in linea con la filosofia di Eraclito.
Tale cura nella messa in scena, dunque, fa sì che le (non poche) incongruenze all’interno dello script abbiano meno importanza di quanta non ne avrebbero in diverse occasioni. Sta bene, però. Non è sempre facile trasporre un intero romanzo in poco meno di due ore di film. Ma, volendo citare il buon Woody Allen, “Basta che funzioni”!
Marina Pavido