Speciale #ROMAFF12 – Cabros de Mierdia miglior film dall’America Latina

Per non dimenticare le nefandezze della dittatura militare di Pinochet in Cile un film che coniuga il reportage di allora con l’impegno civile di oggi

Presentato in anteprima all’interno della Selezione Ufficiale durante la 12° edizione della Festa del Cinema di RomaCabros de mierda è l’ultimo lungometraggio del cineasta cileno Gonzalo Justiniano.

Siamo nel 1983. Un giovane missionario nordamericano, Samuel Thompson, viene inviato nel cosiddetto Terzo Mondo presso una famiglia cilena, al fine di predicare la parola di Dio. L’uomo verrà ospitato dalla bella Gladys, la quale vive con la madre, la figlioletta (anch’esse di nome Gladys) ed il nipotino Vladi. La famiglia, oltre a dover affrontare mille difficoltà al fine di riuscire a sbarcare il lunario, è impegnata anche a prendere parte alle prime rivolte contro la dittatura di Pinochet.

Ed ecco che le vicende del giovane missionario prendono il via, alternando scene di girato a filmati di repertorio, flashback e flashforward, ma riuscendo, allo stesso tempo, a mantenere una certa compattezza narrativa ed una certa linearità. L’operazione portata avanti da Justiniano è particolarmente interessante, in quanto, negli anni Ottanta, è stato lo stesso regista – al seguito di un gruppo di missionari – a girare i filmati di repertorio utilizzati. Ѐ soprattutto la necessità di raccontare la dittatura, dunque, che ha spinto Gonzalo Justiniano – cileno di nascita, ma francese di adozione – a dare vita ad un lungometraggio come Cabros de mierda. Un lavoro particolarmente sentito, addirittura urlato – come sta a suggerirci lo stesso titolo, che tradotto vuol dire proprio “teste di cazzo”, riferito a tutti coloro che a loro tempo hanno collaborato con Pinochet – che, tuttavia, quasi fino alla fine riesce a mantenersi piuttosto moderato nella regia, senza mai mostrarci violenze esplicite (fatta eccezione per l’uccisione di innocenti da parte della polizia) e senza mai andare sopra le righe. Soltanto nel finale – quando vediamo Samuel recarsi in Cile nel 2017 ed osservare in un museo le fotografie delle vittime della dittatura – sembra che il regista si sia lasciato prendere eccessivamente la mano dall’emotività ed abbia abbandonato, per un attimo, quel necessario distacco che serve a mettere in scena una storia. Considerata la lunga gestazione del film ed il coinvolgimento in prima persona dell’autore, però, questa è una piccola pecca che può essere facilmente perdonata.

Ma Cabros de mierda non è soltanto un film di denuncia, un urlo di rabbia di chi ha vissuto la tragedia sulla propria pelle. Cabros de mierda, al contrario, oltre a mettere in scena uno dei più grandi crimini contro l’umanità, solleva anche importanti questioni riguardanti principalmente la religione, la differenza tra essere praticanti per convenzione ed operare realmente il bene e, soprattutto, l’ipocrisia che si nasconde dietro a certi comportamenti. Particolarmente emblematica, a tal proposito, la scena in cui vediamo un anziano Samuel incontrare uno dei suoi torturatori, convertitosi ormai al Cristianesimo e dedito a preghiere collettive, affermando di essersi pentito e di essere stato perdonato da Dio. (NDR: ossia come viene  “usata” anzi  abusata la religione. Un conto è la Misericordia Divina, un conto è assolversi senza un sincero pentimento che si esprime con atti concreti)

A Gonzalo Justiniano va una particolare nota di merito per essere riuscito, nonostante lo stretto coinvolgimento, a mantenere una certa lucidità nel raccontare i fatti e ad aver evitato ogni possibile retorica. Siamo d’accordo, Cabros de mierda non è un film di Pablo Larrain (giusto per restare all’interno dei confini nazionali), questo no. Eppure, indubbiamente, ci troviamo di fronte ad un prodotto di tutto rispetto, certamente degno della nostra attenzione.

 

Marina Pavido

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