BLADE RUNNER 2049 chiude il cerchio di un percorso intimo di Denis Villeneuve

“Un capolavoro della Storia del Cinema, dove ogni elemento ha saputo comporre lo scenario di un futuro inquietante perché plausibile, dove la tecnologia no è disumana ma troppo umana”. Così Andrea Fornasiero definì nel 1982 (ndr: da MyMovies) l’originale Blade Runner di Ridley Scott il quale oggi dà il suo imprimatur come produttore al sequel firmato Denis Villeneuve in uscita questa settimana in Italia. In realtà il film è la conseguenza di un percorso intimo del regista canadese che ci ha abituato con Arrival a scene estenuanti che costringono lo spettatore a riflettere sul senso della vita. Chi andrà a vederlo è spinto ovviamente dalla voglia di un confronto tra la regia di Ridley Scott e Denis Villeneuve. Non vogliamo deludere il lettore ma preferiamo parlare di cosa Villeneuve ci ha trasmesso nel suo poderoso Blade Runner di quasi tre ore (ormai di moda tra i grandi registi a dispetto di ogni logica commerciale). In realtà anche se si tratta della continuazione di una narrazione, Denis Villeneuve ci ha messo tanto di suo (ndr: a parte il finale con Harrison Ford) con una colonna sonora spina dorsale del film. A caldo all’uscita della sala abbiamo pensato alla universale domanda esistenziale di ogni uomo credente o no sul senso della vita. Il “miracolo” della VITA come all’inizio ci fa capire un androide ribelle prima di essere annientato dal Blade Runner 2049 nell’interpretazione impeccabile di Ryan Gosling. Lo spettatore si sente a suo agio riconoscendo” utensili” reali, quali ad esempio una pentola posta sul fuoco del fornello, in una narrazione di un futuro che deve venire ma che è già presente in una favola post moderna. Allora la definizione di Blade Runner di

35 anni fa è ancora applicabile! Eppure nel 1982 le tecnologie comunicative del nuovo millennio non erano ancora sviluppate. Quello che ci è piaciuto di più è il piacere del contatto fisico che prova il protagonista, abituato invece a contatti “cibernetici” e a false verità pubblicitarie. Questa è una metafora del nostro tempo nel quale la globalizzazione ci costringe a rapporti “virtuali”, solo se noi lo vogliamo. Ritornando al percorso intimo del regista Denis Villeneuve che con Arrival descriveva il rapporto con l’ALTRO, qui viene descrivel’inevitabile e straziante rapporto di noi stessi con l’IO, dal quale non c’è possibilità di fuga. Nel sequel poi viene ripreso il concetto di onnipotenza nella quale cadono tanti esseri umani interpretata dalla inquietante figura di TYRELL – occhi di ghiaccio – simbolo però di un potere terreno e quindi limitato!Infine da un punto di vista strettamente cinematografico ci dispiace dire che allo spettatore non è lasciata libertà di scelta in un film che anticipa con dettagli scontati quello che accadrà. E’ questo il prezzo pagato da Denis Villeneuve nella regia di un film pilotato dagli Studios. Ai nostri lettori diciamo andate a vederlo perché è un atto di coraggio di un regista poliedrico come Denis Villeneuve. Con questo incitamento siamo curiosi però di sapere quale tema affronterà il regista nel prossimo futuro. Buona visione!

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