SPECIALE #VENEZIA76 #6 – 27 AGOSTO/7 SETTEMBRE 2019: (DAY 3) SEBERG di Benedict Andrews – la recensione di Marina Pavido

Ancora una volta con Seberg ci fa storcere il naso

(da Venezia Luigi Noera con la gentile collaborazione di Marina Pavido e Annamaria Stramondo- Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Biennale ASAC)

Benedict Andrews con Seberg, che già aveva presentato il suo Una alla Festa del Cinema di Roma 2016, è incentrato sulla figura di Jean Seberg, storica icona della Nouvelle Vague.

Il presente lavoro, dunque, si concentra principalmente su uno dei periodi più bui della vita dell’attrice, ossia quando la stessa, dopo aver intrecciato una relazione sentimentale con l’attivista per i diritti civili Hakim Jamal, viene messa sotto stretta sorveglianza dall’FBI all’interno del progetto illegale COINTELPRO. Al via, dunque, una serie di avvenimenti inquietanti che metteranno a repentaglio la salute fisica e mentale della giovane Jean.

Dato l’indubbio interesse che la figura della Seberg ha sempre sollevato, non stupisce il fatto che un lungometraggio come il presente possa destare l’attenzione di un gran numero di spettatori. Eppure, se già una volta Benedict Andrews ci aveva fatto storcere il naso, la stessa cosa si è verificata anche nella presente occasione, seppur con risultati di gran lunga migliori rispetto alla precedente pellicola.

Il problema principale di un lavoro come il presente – malgrado una confezione tutto sommato pulita e priva di inutili fronzoli – è che, nel mettere in scena questo drammatico periodo, Andrews ha quasi “soffocato” la figura di Jean Seberg stessa, incentrandosi quasi esclusivamente sull’atto di spionaggio in sé e ritraendo l’attrice alla stregua di una personalità qualsiasi. Non viene fatto alcun accenno, ad esempio, alla sua carriera di attrice o ai suoi film maggiormente noti (salvo sporadiche eccezioni), né tantomeno viene dedicato abbastanza spazio all’ambientazione stessa – i mitici anni Sessanta – con una scarsissima attenzione dedicata, ad esempio, ai costumi o a possibili commenti musicali in linea con il periodo storico. E se, di fatto, i risvolti thriller sono complessivamente ben gestiti, con momenti in cui la tensione è palpabile, la cosa in sé non è sufficiente a far sì che l’intero lavoro possa dirsi realmente soddisfacente.

Un plauso particolare, al contempo, va a Kristen Stewart, nel ruolo di Jean Sebeg, appunto: sia per quanto riguarda la sua fisicità che la sua interpretazione, l’attrice è riuscita alla perfezione a caratterizzare l’icona nouvellevaguista. Basterà, tuttavia, un’unica interprete a reggere un intero lungometraggio? Ovviamente no. Il presente Seberg, infatti, pur avendo al proprio interno diversi elementi degni di nota, non riesce, purtroppo, a spiccare il volo come dovrebbe, né tantomeno a caratterizzare a 360° un personaggio così importante.

Marina Pavido

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