SPECIALE 69ma #BERLINALE #5 – 7/17 FEBBRAIO 2019: (DAY 3)

(da Berlino Luigi Noera con la gentile collaborazione di Marina Pavido- Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Berlinale)

L’italia di agostino Ferrente e UN serial killer tedesco  raccontato  da Fatin Akin conquistano il pubblico del Berlinale Palast, DA BOLLYWOOD UN RAP SENZA PRECEDENTI, A PANORAMA IL GIAPPONE RACCONTA LE DIVERSITA‘

Iniziamo dal film austriaco Der Boden unter den Füßen (The Ground Beneath My Feet) di Marie Kreutzer che con la freddezza tipica degli austriaci ci consegna il rapporto tra due sorelle nel rapporto sbilanciato dalla malattia mentale. Ma anche l’eterno conflitto fra gli affetti familiari e il desiderio edonista di raggiungere il successo trascurando i primi a favore di questi ultimi; tranne che non accorgersi quando la tragedia si compie quali sono i valori veri della vita. E’ uno script già visto e non coinvolge lo spettatore forse per un non convincente interpretazione delle attrici protagoniste.

Ma passiamo al nuovo lavoro di Fatih Akin che con Der Goldene Handschuh (The Golden Glove) riprende una storia realmente accaduta negli anni ’70 in Germania ad Amburgo. Si tratta di un serial Killer che sceglie le sue vittime, generalmente donne alcolizzate tra quelle che vivevano in quel mondo di reietti dei clienti del bar da cui il film prende il nome. C’è tutta la brutalità della metà del mondo posseduta dal Male dove il serial killer Franz Honka, interpretatato da un truccatissimo Jonas Dassler al suo primo film da protagonista, cerca disperatamente un riscatto senza riuscire a liberarsi dal male che lo avvolge. Nessuno si accorgeva di nulla, nemmeno i vicini che abitavano al piano di sotto soprattutto dl lezzo dei corpi in decomposizione nascosti nella misera soffitta dove Honka condivideva lo spazio con i resti delle poverette. Solo un imprevisto lo fermerà dopo tante efferratezze. Le scene crude, il trucco appesantito hanno fatto storcere il naso alla critica. Ma si sa quando un soggetto colpisce viene subito attaccato dai detrattori. Siamo curiosi come reagirà il pubblico in sala dove esce in contemporanea alla Berlinale.

Il terzo film in concorso vede protagonista il regista norvegese Hans Petter Moland che con Ut og stjæl e hester (Out Stealing Horses) affronta un tema introspettivo a lui caro. E’ un tuffo nel passato del protagonista che ritorna alle origini nella campagna norvegese dopo una vita spesa nella metropoli. Ovviamente il paesaggio norvegese si presta bene ad entusiasmare il pubblico, ma la storia raccontata è esangue e stenta a decollare.

Per  Berlinale Special un film da Bollywood  particolare Gully Boy di Zoya Akhtar dove la parte musicale è affidata al genere RAP che a quanto pare ha conquistato anche in Asia un suo posto di rilievo. Gully è un giovane che vive in una baraccopoli di Mubai e trova la sua strada quando incontra un rapper. Film coloratissimo, come è stile di Bollywood e con musica piacevole. L’altra pellicola invece è un doc fiction sul drammaturgo tedesco Brecht diretto da Heinrich

Breloer distinto in due parti. La prima sulla giovinezza del protagonista e la seconda sulla maturità dove  un ruolo importante come si sa è rivestito dalle innumerevoli donne che gli sono state al fianco nella sua vita di artista. A noi ha convinto il secondo Brecht interpretato dall‘attore Burghart Klaußner che con grande destrezza si immedesima nel personaggio e per la passione con cui seguiva il nascere delle sue opere messe in scena. Infatti nella prima parte si assiste ad una sorta di soap opera che non restituisce appieno la forza artistica del protagonista.

Nella sezione a latere Panorama che compie 40 anni un grande film giapponese di HIKARI che con 37 Seconds ci restituisce un affresco della disabilità fuori dagli schemi. La disabilità può diventare una prigione da cui è difficile sottrarsi anche per I ruoli che chi ci sta vicino è restio ad abbandonare lasciandoci liberi di volare. E’ un inno alla libertà che solo un animo gentile come il regista poteva consegnaarci. Abbiamo tanto da imparare dalla cultura giapponese!

Da Israele Eynayim Sheli (Chained) di Yaron Shani, ci consegna un noir che ben presto si trasforma in qualcosa di diverso sul maschilismo. Operazione ben riuscita dove lo spettatore rimane spaizzato dal finale imprevedibile. Anche To thávma tis thálassas ton Sargassón (The Miracle of the Sargasso Sea) del greco Syllas Tzoumerkas vuole essere amodo suo un noir ambientato nel’arcipelago Greco ci racconta una spy story dove però lo script è sempre in bilico e a causa dei tanti buchi nella sceneggiatura lo spettatore rimane in sospeso come il finale.

Nella sezione di Panorama DoC arriva dal Brasile una storia particolare su una cittadina Toritama dove si producono in tutti i modi possibili jeans raggiungendo la cifra record di 20 milioni di pezzi all’anno. Si  tratta di Estou Me Guardando Para

Quando O Carnaval Chegar (Waiting for the Carnival) di Marcelo Gomes. L’unico momento di distrazione per gli abitanti è ovviamente il Carnevale.  Dall’Italia invece un pezzo di vita partenopea con il film Selfie di Agostino Ferrente. Il regista ha dato sfogo libero all’nventiva dei protagonisti che si filmano con i cellulari e raccontano i loro sogni giovanili. E’ un inno di felicità anche se le difficoltà per un futuro migliore sono tante in un territorio degradato.

PALERMO 1976-VINCENZO BATTAGLIA ERA USCITO DI CASA PER COMPRARE I CANNOLI.LO HANNO UCCISO AL BUIO TRA LA SPAZZATURA.

Parla sempre di meridione il documentario dell’irlandese Kim Longinotto che con Shooting the Mafia attraverso i racconti degli gli amori e la vita della più famosa fotorepertor palermitana Letizia Battaglia ci narra una stagione di guerra di mafia che ha dilaniato la città tutta porto (Panormus) quando il coerlonese Totò Riina per prendere il potere scatena la più sanguinosa guerra contro la cupola palermitana. In 94 minuti la regista utilizzando spezzoni di immagini repertorio ci consegna quel periodo buio, ma anche molto profiquo per la Letizia Battaglia il cui rimpianto è non essere andata a fotografare la strage di Capaci e quella di via d’Amelio dove vennero assassinati i giudici Falcone e Borsellino.

Per l’altra sezione autonoma FORUM Il film psicologico Demons di Daniel Hui prodotto a Singapore dove però l’intento horror viene banalizzato e ne deriva una trama insignificante. Peccato perché l’argomento poteva sedurre lo spettatore.

Infine per Berlinale Shorts un’altra pillola con Rise di Bárbara Wagner/Benjamin de Burca: ritratti di artisti migranti nell’atto di ascoltare musica.

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