SPECIALE #VENEZIA75 #17 – 29 AGOSTO/8 SETTEMBRE 2018 (DAY 6): le recensioni – MAFAK (SCREWDRIVER) di Bassam Jarbawi

(da Venezia Luigi Noera con la gentile collaborazione di Marino Pavido- Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Biennale di Venezia)

Ai Venice Days edizione 2018 un grido alla libertà fuori dal coro: MAFAK (Cacciavite)

I Territori occupati da Israele e la interminabile guerra strisciante tra Israeliani e Palestinesi sono da anni a buon ragione temi trattati sia da cineasti palestinesi ed israeliani ma anche da parte di chi vede in tutto questo un attentato alle libertà individuali. Anche quest’anno a Venezia il tema è ripreso non solo nella sezione Ufficiale Orizzonti con TELAVIV ON FIRE, ma anche alle Giornate degli Autori con la pellicola del cineasta palestinese Bassam Jarbawi in una produzione indipendente che oltre ad essere stata finanziata da Rimsh Film è stato selezionato anche dal Sundance, notoriamente attento appunto alle migliori produzioni mondiali indipendenti.

Siamo nel 1992 e due giovanissimi palestinesi poco più che bambini per gioco si affrontano ferendosi reciprocamente con dei coltellini. Eppure sebbene amici per la pelle non hanno paura della morte. Anzi affrontano spavaldamente l’intervento del medico che gli cuce le ferite procuratesi. E’ questo il clima violento nei territori occupati anche detti West Bank. Le cose non cambiano dopo 10 anni e nel 2002 dopo gli accordi di pace fra Israeliani e Palestinesi uno dei due viene colpito a morte dai soldati israeliani in una notte di spensieratezza come tanti altri adolescenti passano in tutto il mondo. Nei Territori occupati uno scherzo adolescenziale si paga con la vita: Ramin viene ucciso e cresce nell’amico Ziad il rancore e un ferale sentimento di vendetta che gli fa passare 15 anni nelle carceri israeliane.

Da qui parte allo scadere della pena quando viene rilasciato (2017) ed accolto come eroe dagli amici il racconto di tutte le sue ossessioni e allucinazioni per una società palestinese che, sebbene sempre sotto l’occupazione israeliana, è cambiata profondamente.

Ai sentimenti di leggerezza dell’adolescenza di Ziad e  dei suoi coetanei di allora nei palestinesi è sorto un sentimento di odio profondo per le angherie subite. Ziad è accolto come un eroe, ma lui non si ritrova in questo ruolo, non si ritrova con quella che è  la sua famiglia, sua madre. In un percorso psicologico cerca di fare chiarezza con se stesso grazie ad una regista intenzionata a raccontare la storia di Ziad. In questo percorso a ritroso Ziad deve fare i conti con quella tragica notte di 15 anni prima quando venne accusato di omicidio nei confronti di un colono israeliano.

Il film è fuori dagli schemi perché parla dei Palestinesi, di come si sentono oggi dopo tanti anni di occupazione, di come sono cambiati. Il regista invece di contrappore gli occupati agli occupanti prova a raccontare il popolo palestinese con le sue paure nelm passato che si proiettano nel futuro e non lascia spazio a soluzioni pacifiche. In fondo il cacciavite che il protagonista rivede nei suoi incubi è stato utilizzato come strumento di morte.

Riportiamo quanto ha affermato il regista al riguardo:

“La dipendenza dei prigionieri in isolamento per la propria fantasia come una tecnica di sopravvivenza ha colpito la mia immaginazione e ha largamente influenzato la storia di Mazak. Il film è ambientato nel contesto del conflitto tra Israele e Palestina, ma si connette a una narrazione più universale che riguarda la prigione, la tortura e la lotta contro la propria immagine e il riflesso che sta nel nostro cervello”. (Bassam Jarbawi)

Lascia un commento

Top