Agadah di Alberto Rondalli – una occasione mancata

Nelle sale italiane dal 16 novembre, Agadah è l’ultimo lungometraggio diretto da Alberto Rondalli e tratto dal celebre Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potoki.

Siamo nel maggio del 1734. Alfonso van Worden, giovane ufficiale Vallone al servizio di Re Carlo, ha ricevuto l’ordine di raggiungere il suo reggimento a Napoli. Durante il viaggio, nonostante il suo servitore Lopez cerchi di dissuaderlo dall’attraversare l’altopiano delle Murgie poiché infestato da spettri e demoni, il giovane Alfonso decide di mettersi ugualmente in cammino. Ed ecco che, nell’arco di dieci giornate, vivendo di volta in volta situazioni a metà tra sogno e realtà, tra reale e fiabesco, il ragazzo compirà una sorta di percorso iniziatico, al termine del quale non avrà mai la certezza se ciò che ha vissuto sia stato, appunto, un sogno o meno.

Per i temi trattati e la struttura che, al di là di quanto inizialmente possa sembrare, di lineare ha ben poco, questo lavoro di Alberto Rondalli risulta di non facile lettura e piuttosto stratificato: se da un lato abbiamo il sogno e la fiaba, dall’altro c’è la storia, così come i fatti si sono svolti (non dimentichiamo che la vicenda è ambientata all’indomani della Battaglia di Bitonto). E la cosa in sé è anche piuttosto interessante. Peccato, però, che, proprio per quanto riguarda la realizzazione, il regista si sia lasciato prendere eccessivamente la mano con repentini cambi di scena e di ambientazione, con un susseguirsi eccessivamente confusionario di personaggi e con un andamento narrativo che, a tratti, avrebbe necessitato anche di qualche attimo di respiro.

Detto questo, particolarmente interessanti e ben riuscite sono proprio le ambientazioni e gli effetti speciali (piuttosto interessante, ad esempio, la realizzazione di alcuni scheletri viventi, per i quali sono stati adoperati dei veri scheletri opportunamente scenografati). Fattori, questi, sempre a rischio, quando si tratta di realizzare un film in costume e non si dispone di un grosso budget. In questo caso, però, notiamo con piacere che il problema è stato brillantemente arginato.

Peccato, dunque, che un lungometraggio come Agadah non sempre sia riuscito a centrare l’obiettivo. Magari, evitando il “troppo” si sarebbe potuto dar vita ad una vera e propria chicca all’interno del panorama italiano contemporaneo. Che dire? Attenderemo fiduciosi nuovi lavori da parte dell’autore. Vediamo, le prossime volte, in che modo riuscirà a stupirci.

Marina Pavido

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